Ciao.
Ricevo e trasmetto da parte di Walter (che ha ancora il pc fermo).
"Carissimi/e
provo a scrivere e a proporvi una breve traccia riguardante il nostro
possibile impegno come gruppo Pace del BSF.
Elenco in sintesi i punti sui quali abbiamo focalizzato la nostra attenzione
in questo periodo:
1) Produzione armiera e Riconversione
2) Commercio delle armi (vedi anche legge 185)
3) Impegno verso le popolazioni dell'Iraq
Affinchè ciò sia trasferibile nella realtà credo sia necessario rendere
organici alcuni interventi, preparandoli almeno teoricamente in questo
periodo, per renderli operativi da prossimo autunno,partendo magari dalla
scadenza di Riva del Garda il 4/5/6/ settembre.
Ricordo che il 4 settembre sarĆ a Riva la giornata dedicata al tema
GUERRA/WTO e noi dovremmo contribuire a creare un percorso partendo appunto
dai punti sopra citati. Credo che il controvertice di Riva sia un'importante
occasione per incontrare realtĆ diverse ed insieme lavorare; spero davvero
che tutti noi possiamo partecipare almeno alla giornata del 4 settembre.
Detto questo penso che,per quanta riguarda i punti 1 e 2 siano necessari
momenti di studio ed approfondimento con l'ausilio di persone che da anni
lavorano su questi temi ( Tombola,Terreri,Lodovisi,Beretta) e nel contempo
intensificare i rapporti con la Fiom e partecipare ad Opal. E' evidente che
il piano dello studio e quello della costruzione delle alleanze devono
integrarsi al fine di produrre un progetto credibile che ci permetta di
lavorare razionalmente in una direzione chiara e determinata.
La mia aspirazione e intenzione ĆØ quella di arrivare ad Exa 2004 con una
proposta politica e pratica che abbia valenza a livello nazionale. Per fare
ciò credo sai necessario un collegamento costante con altre realtà sia
regionali che nazionali; ĆØ auspicabile che un numero sempre maggiore di noi
parteci ad incontri anche "fuori Brescia" (a tale proposito ricordo la
riunione del 23 giugno a Milano del nascente Coordinamento Regionale).
Vi segnalo inoltre il bell'articolo di Osvaldo Squassina su "Il Manifesto"
di sabato 14 giugno inerente la legge 185 e Riconversione in genere; le
dichiarazioni del Segretario Generale della FIOM di Brescia sono puntuali,
condivisibili e coraggiose, e possono darci la speranza di fare passi in
avanti; sarebbe un peccato perdere questa importante opportunitĆ .
Rispetto al punto 3, credo che il BSF debba impegnarsi in sinnergia con il
Tavolo Nazionale Per Gli Aiuti, dove lavorano persone con notevole
esperienza nel settore della SolidarietĆ Internazionale e non solo; anche in
questo caso sarebbe importante incontrare alcuni di loro (Fabio Alberti,
Raffaella Bolini ecc...)
e con loro capire ciò che è possibile per il nostro Social Forum fare e in
che modo farlo, nell'ottica che l'aiuto materiale e quello politico sono
difficilmente,almeno per noi, scindibili.
So bene che le cose da fare sono tante,e so che le vacanze sono vicine, ma
anche noi non siamo in pochi, e se abbiamo davvero voglia di fare queste
cose, se davvero crediamo nella possibilitĆ di un mondo diverso, cominciamo
a darci da fare.
Un Abbraccio
Walter
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in allegato una prima valutazione sui risultati del referendum del 15 giugno
da parte dello Slai Cobas Milano
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Numero 584 del 17 giugno 2003
Sommario di questo numero:
1. Da Assisi a Gubbio
2. In memoria di Giuseppe D'Urso
3. Adriano Apra' ricorda Jean-Claude Biette
4. Gianfranco Capitta ricorda Marisa Fabbri
5. Gianni Manzella ricorda Marisa Fabbri
6. Luisa Muraro: tutto o niente
7. Rossana Rossanda: il simbolico e il materiale
8. Luisa Muraro: cara Rossanda
9. "L'incontro"
10. "Mani tese"
11. "Roma Caritas"
12. "Segno"
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. DA ASSISI A GUBBIO
Nel settembre del 2000, nel ricordo di Aldo Capitini e con la parola
d'ordine "mai piu' eserciti e guerre", si svolse una marcia da Perugia
Assisi non genericamente per la pace, ma specificamente per la nonviolenza,
promossa dal grande collaboratore e continuatore dell'opera di Aldo
Capitini, Pietro Pinna. Contro ogni previsione, furono migliaia le persone
che aderirono a quell'appello, a quell'iniziativa cosi' caratterizzata,
cosi' impegnativa, cosi' illimpidita e liberata dalle mille ambiguita' e
ciarlatanerie che ancora offuscano e soffocano le mozioni e le tensioni di
tanti movimenti e tante esperienze e tante persone buone che si illudono di
potersi impegnare per la pace e la giustizia senza fare la scelta concreta e
vincolante della teoria-prassi nonviolenta.
Fu in quella occasione che nacque anche questo notiziario, dapprima col
titolo "In cammino verso Assisi", poi, svoltasi la marcia, con la testata
che ancora mantiene.
Quella camminata da Perugia ad Assisi ora continua, da Assisi a Gubbio.
Per iniziativa del Movimento Nonviolento ancora una volta tutte le persone
amiche della nonviolenza sono chiamate a un nuovo incontro, a un nuovo
cammino comune: dal 4 al 7 settembre 2003 da Assisi a Gubbio lungo il
sentiero francescano in un nuovo colloquio corale, per mettere insieme il
nostro andare e il nostro interrogarci, per conoscerci e riconoscerci, per
proseguire in questo percorso e in questa scelta, il cammino della
nonviolenza in cammino, la scelta della nonvioenza come scelta di rigore
intellettuale e morale, come sentimento di appartenza a una sola comune
umanita', come opposizione a tutte le violenze e a tutte le menzogne, come
lotta e comunicazione, come resistenza e apertura. Per cercare ed aprire un
varco nella storia.
Per informazioni e adesioni all'iniziativa contattare il Movimento
Nonviolento (e-mail: azionenonviolenta(a)sis.it, sito: www.nonviolenti.irg);
il programma completo dell'iniziaitva abbiamo pubblicato nel notiziario di
ieri.
2. MAESTRI. IN MEMORIA DI GIUSEPPE D'URSO
[Il 16 giugno 1996 moriva Giuseppe D'Urso. Lo ricordiamo riproponendo una
scheda curata dal "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo alcuni anni fa]
* Peppe Sini: con solidarieta' e gratitudine
Il primo dei testi che seguono e' un ricordo del professor Giuseppe D'Urso
scritto da Riccardo Orioles, un ricordo che si trova nella bella raccolta di
scritti di Riccardo Orioles, Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra,
disponibile nella rete telematica (e che sarebbe bene che qualche editore
stampasse e diffondesse in libreria).
Non ho mai visto il professor D'Urso e non sono certo se ho parlato con lui
per telefono qualche volta (ma mi pare di si').
Ma in anni che oggi sembrano remotissimi, ed invece non lo sono poi
granche', tutti i miei amici del movimento antimafia di Catania e di Palermo
quando dicevo loro che a Viterbo nella nostra azione contro i poteri
criminali e il regime della corruzione venivamo individuando come strategico
il ruolo della massoneria (e qui per creanza - o per prudenza - si suole
apporre la qualifica di "deviata") nell'intreccio tra poteri criminali,
economia, finanza, e corruzione politica ed amministrativa, mi parlavano di
lui come del loro principale punto di riferimento, poiche' per primo il
professor D'Urso aveva individuato la crucialita' del rapporto tra
massoneria e mafia.
Rapporto, e decisivita', successivamente emersi con grande evidenza: cfr. ad
esempio la "tesi 8" nel libro di Luciano Violante, Non e' la piovra. Dodici
tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994, pp. 169-181; e varra' la
pena di trascrivere qui almeno l'enunciazione di questa tesi: "Logge
massoniche 'deviate' costituiscono il tramite piu' frequente e piu' sicuro
nei rapporti tra mafia e istituzioni. Per mezzo di queste logge, in
particolare, la mafia cerca di 'aggiustare' i processi che la riguardano.
Esponenti delle logge massoniche, a loro volta, hanno chiesto in diverse
occasioni la partecipazione di Cosa Nostra a vicende criminali ed eversive.
Il terreno d'incontro tra la mafia e queste logge e' costituito dai comuni
interessi antidemocratici".
Mi piacerebbe sapere, e non so, cosa il professor D'Urso abbia pubblicato, e
se dopo la scomparsa i suoi scritti ed il suo archivio siano stati ordinati
e se siano oggi a disposizione degli studiosi, delle istituzioni
democratiche e dei militanti antimafia.
Tra le mie carte ho ritrovato solo, in un fascicolo del 1990 di una vivace
rivista palermitana, uno schematico (ma interessantissimo) intervento svolto
ad un'assemblea nazionale di Cgil, Cisl e Uil tenutasi a Palermo nel 1982,
che anch'esso ripubblico qui anche se mi rendo ben conto che non gli rende
giustizia.
Poiche' il professor D'Urso non e' stato solo uno studioso ed un sostenitore
ed ispiratore del movimento antimafia: e' stato un protagonista della lotta,
concreto ed efficace, e valga a provarlo ad esempio quanto ricordato nel bel
libro di Claudio Fava, La mafia comanda a Catania, Laterza, Roma-Bari 1991,
alle pp. 84-85: "il merito d'aver innescato il detonatore dell''affaire
Catania' non va soltanto al Csm [il riferimento e' alla decisione del
Consiglio Superiore della Magistratura del 28 ottobre 1982 di avviare
un'indagine della propria commissione d'inchiesta sulla Procura di Catania]
(...) Il professore Giuseppe D'Urso... un docente di urbanistica che per
molti anni aveva continuato silenziosamente a raccogliere prove sulle
irregolarita' amministrative, i misfatti edilizi, gli appalti pubblici
pilotati. Per ogni abuso, il professor D'Urso aveva compilato un dossier
completo di cifre, nomi, indicazioni di legge, estratti del Piano
regolatore, fotocopie di delibere comunali. Quegli esposti, con incrollabile
perseveranza, forse perfino con un filo di dolente ironia, erano stati
puntualmente spediti all'autorita' giudiziaria. Che per molti anni aveva
continuato ad inghiottirli in silenzio. L'ultimo fascicolo Giuseppe D'Urso
aveva preferito invece farlo trovare sui banchi del Csm. Dentro, in
bell'ordine, i promemoria del professore su tutte le inchieste insabbiate
dalla Procura di Catania: le protezioni accordate, le illegalita' compiute,
le indagini depistate. Ma soprattutto c'era il testo del telegramma che
D'Urso aveva spedito 'per conoscenza' a ministri e presidenti di mezza
Repubblica. La vertenza Catania di fatto era nata su quelle poche righe di
denuncia civile, sull'intransigente ribellione di un cittadino qualsiasi".
Questo era il professor D'Urso. Non altro potendo oggi fare per rendergli
omaggio, ne segnalo la figura. Con solidarieta' e gratitudine.
* Riccardo Orioles: la ragione
Domenica 16, a Catania, e' morto il professor Giuseppe D'Urso e questa e'
probabilmente l'unica pagina dell'unico giornale che lo ricordi. Tuttavia e'
un avvenimento storico: 16 giugno 1996, muore Giuseppe D'Urso che sconfisse
i mafiosi.
E' stato il primo, in tutta Italia, a dire cos'era veramente la mafia dei
nostri tempi. Non un'escrescenza criminale, non una patologia; ma il braccio
armato, organizzato da molti anni su basi ben precise, di una parte
consistente della classe dirigente siciliana e nazionale, quella
inquadrata - negli ultimi decenni - dalle massonerie deviate. Fu lui a
postulare per primo, e a descrivere con precisione, il legame organico fra
mafie e massonerie, ad analizzarne le strutture, a denunciarne la strategia.
Tutti gli altri, vennero dopo. E quando, faticosamente, il concetto di
"massomafia" - il termine da lui coniato nei primi anni Ottanta - divenne
senso comune, allora e solo allora la lotta ai poteri mafiosi pote'
cominciare davvero. Andreotti, Licio Gelli, i cavalieri catanesi ebbero nel
suo cervello il nemico piu' pericoloso.
Ci fu maestro, a noi dei "Siciliani". Nessun altro ebbe cosi' pienamente
questo onore, eccetto Giuseppe Fava. Nel 1982, prima ancora - anche qui,
l'unico - dei "Siciliani" egli gia' denunciava pubblicamente i cavalieri
catanesi, i magistrati al loro servizio, le servitu', gli affari. Era allora
presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica e di questa prestigiosa
posizione si valse - oltre che per una notevole attivita' scientifica - per
una documentatissima battaglia civile. Nel gennaio dell'84, dopo
l'assassinio di Giuseppe Fava, raccolse l'appello dei giovani e si
arruolo' - non c'e' altra parola - nei "Siciliani". Da quel momento, la sua
vita fu indissolubilmente legata alla nostra e la sua ragione e il suo cuore
appartennero ai "Siciliani".
Nell'autunno del 1984 fondo' l'Associazione I Siciliani, di cui fu il
Presidente. Piccolo gruppo di militanti, l'Associazione si radico'
rapidamente ed acquisto' peso ed influenza; insieme col Coordinamento
Antimafia di Palermo e col Centro Peppino Impastato, fu il primo esempio in
assoluto di politica militante, nell'Italia degli anni Ottanta, fuori dei
partiti. Oltre a D'Urso, l'Associazione pote' contare su uomini come il
sacerdote Giuseppe Resca, il magistrato Scida', il professor Franco Cazzola,
l'operaio Giampaolo Riatti ed altri ancora. Era la nuova classe dirigente,
quella che avrebbe potuto davvero cambiare tutto; finche' essa fu unita, non
passarono i gattopardi.
Nel 1990, il professore fu fra i ventiquattro fondatori della Rete, nata
allora non come un partito ma come un movimento unitario di liberazione.
Egli ne organizzo' i primi passi dal letto in cui gia' era inchiodato,
contribuendo come pochi altri alle sue prime vittorie. In seguito, le
ambizioni personali vi presero - per sventura del Paese, come in tante altre
occasioni - il sopravvento, e solo il coraggio individuale, che non fu mai
tradito da alcun siciliano, sopravvisse agl'ideali con cui s'era partiti. Ma
gia' allora, e non casualmente, egli ne era stato emarginato.
Gli ultimi anni, di lunga malattia, furono una feroce vendetta della Fortuna
invidiosa. Egli la sopporto' virilmente, ragionando fino all'ultimo. Io
ricordo una sera, quando una diagnosi dei medici gli dava poche settimane di
vita. Mi avverti' pacatamente che non avrebbe potuto, non per sua colpa, far
fronte ad alcuni impegni organizzativi predisposti. Me ne espose il motivo.
Mi dette cortesemente alcune istruzioni per continuare in sua assenza. Il
resto della serata fu speso in una conversazione su alcuni punti controversi
del pensiero di Benedetto Croce.
"Addio, compagno! Per buon tempo hai combattuto, e con onore / Per la
liberta' del popolo..." dice un antico canto rivoluzionario. Giuseppe
D'Urso, ingegnere, pensatore illuminista e militante del popolo siciliano,
ha combattuto come pochissimi altri per il bene comune. La sua vita e' stata
utile, il suo pensiero fraterno; non ha sprecato un attimo della sua forte
intelligenza; ha vissuto. I suoi figli possono essere orgogliosi di lui, e
orgoglioso chi gli fu amico. Quando sarete liberi, voi della Sicilia e di
tutt'Italia, quando sarete dei cittadini, allora - e solo allora -
portategli un fiore.
[Questo testo e' incluso (col titolo La ragione, e recando in epigrafe "...
la raison tonne en son cratere...") nel libro elettronico di Riccardo
Orioles, Allonsanfan; l'autore indica come luogo di prima pubblicazione il
settimanale "Avvenimenti", nel giugno 1996, ma non abbiamo avuto agio di
verificare]
* Giuseppe D'Urso: per riprendere e continuare
La sezione siciliana dell'Istituto Nazionale di Urbanistica sottolinea la
maturita' dei contenuti e l'approfondimento delle tematiche di tutti gli
interventi di questa coraggiosa e democratica assemblea.
Per noi, urbanisti democratici, l'analisi degli assetti e delle
trasformazioni del territorio costituisce uno strumento formidabile per
comprendere, risalendo alle cause, interconnessioni occulte, intrecci
speculativi e per conoscere gestori segreti.
Abbiamo fornito e forniamo alla Magistratura elementi precisi e puntuali
sulle piu' grosse operazioni di rapina mafiosa nel territorio siciliano.
Al Sindacato democratico, unitariamente riunito oggi a Palermo, vogliamo
invece fornire delle riflessioni, sotto forma di schede sintetiche, per
contribuire a fare chiarezza sulle questioni generali dibattute in questa
assemblea e cio' alla luce dell'esperenza fatta nelle nostre specifiche
ricerche.
Le schede rappresentano tracce sistematiche di lavoro di ulteriore ricerca
collettiva da svolgere.
Esse sono le seguenti:
Scheda 1
Necessita' di possedere una definizione complessiva, esaustiva e
storicamente valida del fenomeno in generale etichettabile come: "alta
criminalita' organizzata".
E' necessaria l'unificazione sistematica di fenomeni sociali come:
a) criminalita' economica organizzata; mafia (Sicilia), 'ndrangheta
(Calabria), camorra (Campania), fibbia (Puglia); banditismo (Sardegna);
b) servizi segreti deviati: dell'est (Patto di Varsavia), dell'ovest (Patto
Atlantico), del Terzo Mondo (Paesi non allineati);
c) criminalita' politica organizzata: terrorismo rosso, terrorismo nero;
d) poteri occulti laici: massoneria bianca ((Ovest-Est-Terzo Mondo),
massoneria nera (nei Paesi dell'Ovest), massoneria rossa (nei Paesi
dell'Est);
e) poteri occulti religiosi: cattolici (internazionali): Opus Dei, gesuiti
laici, cavalieri di Malta; altre religioni (terzo mondo).
Anche se si rischia di allargare troppo il campo dell'indagine, questo e'
uno sforzo che deve essere compiuto con l'aiuto degli intellettuali
progressisti: il rischio inverso e' quello di tenere l'obiettivo puntato
sopra un elemento troppo limitato rispetto al quadro generale.
Bisogna individuare l'intera figura della "piovra" e non solamente uno dei
suoi innumerevoli tentacoli (il quale anche se asportato, col tempo si
riforma cosi' come era).
Una definizione di "alta criminalita' organizzata" puo' essere la seguente:
"Gruppo sociale chiuso che, nell'ambito di un sistema economico,
articolandosi in una complessita' di sottogruppi, ha come fine l'accumulo e
la gestione per i propri affiliati di ricchezze non lavorative: il 'gruppo'
si avvale di strumentazione per la violenza fisica e l'intimidazione morale,
lega i suoi appartenenti con regole di subordinazione e di morte ed ha un
processo di adeguamento continuo a quello del sistema economico a cui si
riferisce".
Scheda 2
Necessita' di possedere una visione storica del problema, cercando di
intravedere i nessi tra storia della Sicilia, storia del Meridione d'Italia
e storia d'Italia dall'Unita' alla fine della seconda guerra mondiale
(conferenza di Yalta).
A questa scheda si allegano alcune fotocopie di testi ritenuti fondamentali
per la comprensione di come alcuni fatti economico-sociali si sono tra loro
intrecciati: tutto cio' per capire quali sono le interconnessioni del
presente e quindi la limitazione delle analisi che focalizzano solo un
aspetto della questione.
L'analisi storica deve mettere in luce quali sono stati i rapporti tra
potere economico e potere istituzionale sia nelle campagne che nelle citta',
sia al centro (Roma) che in periferia (settentrionale e meridionale) facendo
risaltare come il tutto si e' evoluto fino ai nostri giorni (e cio' al di
fuori di esasperati ideologismi).
Debbono individuarsi fatti, situazioni e nomi precisi in modo tale da
comprendere in maniera puntuale i corsi e gli intecci degli avvenimenti
economico-sociali.
Le tappe di questa analisi sono:
1) la situazione preunitaria;
2) l'Unita', Cavour e Garibaldi;
3) l'eta' giolittiana;
4) la prima guerra mondiale ed il primo dopoguerra (arricchimenti di guerra
e loro impieghi);
5) avvento del fascismo: lotta alla mafia ed alla massoneria: il concordato;
6) secondo conflitto mondiale e sistema Yalta;
7) il secondo dopoguerra, ricostituzione di "cosche" e di "logge" e loro
scala internazionale.
Scheda 3
Necessita' di possedere una chiara radiografia dello stato patrimoniale
degli individui e dei gruppi che gestiscono oggi il sistema economico, il
sistema istituzionale, il sistema dei mass-media, il sistema culturale.
Solo una analisi puntuale in questo senso puo' porre in luce i sotterranei
rapporti che, mettendo in cortocircuito il potere economico, il potere
politico (legislativo, esecutivo, giudiziario), il potere dell'informazione
ed il potere culturale, bloccano di fatto lo sviluppo economico e
democratico del popolo italiano a vantaggio di determinati gruppi chiusi di
sfruttamento economico e di conseguente reazione politica.
I lavoratori italiani debbono farsi carico politico di analisi che,
focalizzando comuni, province, regioni, organizzazione statale, mettano a
nudo, attraverso l'indagine finanziario-catastale, le posizioni di tutti gli
attuali detentori di potere.
Debbono farsi altresi' carico dell'introduzione di una strumentazione
democratica che consenta per il futuro il controllo continuo su tutti i
detentori di potere previsti dalla nostra carta costituzionale.
[Questo testo di Giuseppe D'Urso lo abbiamo ripreso da "Antimafia" n. 2 del
1990, che lo pubblicava (peraltro con vari refusi, alcuni dei quali ci
saranno certamente sfuggiti) facendolo precedere dalla seguente nota: "Per
'riprendere' e 'continuare' tutti insieme. Le schede che pubblichiamo furono
presentate e lette dal prof. Giuseppe D'Urso (allora presidente della
sezione siciliana dell'Istituto Nazionale di Urbanistica) all'assemblea
nazionale dei consigli generali e dei delegati Cgil, Cisl, Uil 'Per la
democrazia, il lavoro, lo sviluppo: lotta alla criminalita' mafiosa e al
terrorismo" che si tenne a Palermo il 15 e 16 ottobre 1982, dopo il delitto
Dalla Chiesa. Tutti gli atti dei lavori vennero in seguito pubblicati: tra
di essi pero' non vi era traccia delle schede presentate dall'Inu.
Riproporle oggi ci pare atto dovuto, oltre che di pregnante attualita' di
analisi metodologica"].
3. LUTTI. ADRIANO APRA' RICORDA JEAN-CLAUDE BIETTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 giugno 2003. Adriano Apra' e' uno dei
piu' illustri studiosi di cinema italiani. Jean-Claude Biette, regista,
attore, sceneggiatore, chef decorateur e critico, e' nato a Parigi il 6
novembre 1942 ed e' morto d'infarto il 10 giugno 2003. Cinephile di
proporzione sovrumana, Biette lavora per una ventina d'anni ai "Cahiers du
cinema", prima dal 1964 al 1965 poi tra il 1977 e il 1986 in modo piu'
regolare, per poi affiancare Serge Daney nella rivista teorica "Trafic" che
dal 1992 dirige dopo la morte dell'amico. Assistente alla regia di Pier
Paolo Pasolini, durante il suo esilio romano (obiettore di coscienza durante
l'occupazione francese in Algeria), e attore per Marguerite Duras (India
song), Jean Eustache (La maman et la putain), Jean-Marie Straub e Daniele
Huillet (Othon), Rohmer (Racconto d'inverno), Biette inizia a girare corti e
documentari e firma, dopo Soeur du cadre (1973) il lungometraggio Le Theatre
des matieres (1977). I suoi film sono a basso costo e ad alta intensita' di
linguaggio. Ma non conoscono mai un grande successo di pubblico. Del 1982 e'
Loin de Manhattan, del 1983 il segmento "Pornoscopie" di L'Archipel des
amours; del 1990 Le Champignon des Carpathes, del 1993 Chasse gardee, del
1995 Le Complexe de Toulon, del 1999 Trois ponts sur la riviere, e del 2003
Saltimbank che e' appena stato presentato al festival di Cannes (con
recensioni molto positive), star Jeanne Balibar. Per il teatro scrive Barba
Azul (Barbablu), messo in scena a Lisbona (Teatro da Cornucopia) da
Christine Laurent con Luis Miguel Cintra. Tra i suoi programmi televisivi
una famosa monografia su Pier Paolo Pasolini (1966). Abitue' dei festival
off off come Salsomaggiore o Rotterdam, oltre ai suoi saggi sui "Cahiers" e
su "Trafic" ha pubblicato due volumi per la casa editrice Pol, Qu'est-ce
qu'un cineaste? (2000) e Cinemanuel (2001); e Poetiques des auteurs, edito
nel 1988 dai "Cahiers" stessi. In questi lavori analizza l'immagine filmica
(e soprattutto i suoi tre elementi costitutivi, recit, drammaturgia e
progetto formale), anche in rapporto con letteratura, musica (Debussy e
Schoenberg) e teatro. Numerosi i cineasti che fanno parte del suo
laboratorio d'analisi. Bresson, Sternberg e Straub (che sono stati oggetto
di corsi seminariali), Ford, Hitchcock, Lang (con Renoir e Murnau la sua
vera trinita' d'ispirazione), ma anche il dimenticato Eustache, Guitry,
Pagnol, e tra gli italiani, Rossellini, Rosi, Soldati, Bertolucci,
Gregoretti. Inoltre Minnelli, Fuller, King, Borzage, Ozu, Mizoguchi,
Fassbinder, Chaplin, Hawks, Tourneur, Browning, Sirk, Lewin. Nella rivista
"La lettre du cinema", n.7/8/9 e' stata pubblicata una lunga intervista (con
illuminanti passaggi su Barbet Schroeder)]
Mi telefona Cristina Piccino: l'ha chiamata da Parigi Bernard Eisenschitz
per dirle che e' morto (martedi' scorso), all'improvviso, Jean-Claude
Biette.
Stupore, dolore, angoscia. Era malato? Telefono agli amici parigini, a
Bernard e a quelli che condividono con lui l'avventura di "Trafic",
l'austero e appassionante trimestrale di cinema fondato assieme a Serge
Daney (n. 1, inverno 1991). Raymond Bellour e' incupito dallo choc, Sylvie
Pierre e' in lacrime. No, non era malato, anzi, stava benissimo: il suo
ultimo film, Saltimbank, era stato presentato qualche giorno fa con successo
alla Quinzaine des Realisateurs a Cannes. Un ictus improvviso, o qualcosa
del genere. Ha chiamato un'amica dicendo che non stava bene. Poi niente.
Hanno dovuto sfondare la porta di casa...Nato nel 1942, aveva dunque 61
anni: ma, ai miei occhi, l'aria assai piu' giovane, quasi da ragazzo; e non
e' poi tanto che non lo vedevo.
L'ho conosciuto nel 1965, quando sbarco' a Roma senza una lira e con due
numeri telefonici, quello di Gianni Amico e il mio, passatigli dai "Cahiers
du Cinema", con i quali aveva cominciato a collaborare (memorabile la sua
scoperta da Locarno, nel "petit journal" del dicembre 1965, di De Oliveira).
Non sapevamo bene chi fosse. Ci spiego' che, a imitazione dell'amato
Jean-Marie Straub, era scappato da Parigi per non fare il servizio militare.
Era evidente che cercava il modo di sopravvivere. Io lavoravo nel piu' che
confortevole ufficio di Gian Vittorio Baldi in via della Scrofa, al progetto
di una rivista internazionale trilingue sul documentario (che poi non si
fece). Convinsi Baldi, assai pretestuosamente, a ingaggiare Jean-Claude, sia
pure per due lire, come traduttore in francese da una lingua, l'italiano,
che a mala pena parlottava ma di cui rapidissimamente si approprio'. Poi gli
produsse anche un paio di cortometraggi che vidi all'epoca e che sarebbe
bello ritirare fuori. E' assieme a Jean-Claude che cominciammo, saranno
stati i primi del '66, a vedere Pasolini nella sua casa di via Eufrate per
tradurgli a voce (con me sorpreso che non sapesse bene il francese) gli
scritti di Christian Metz sulla semiologia del cinema (il che frutto' i suoi
liberi e poetici interventi in un campo peraltro cosi' arido).
La forza della sopravvivenza, ma anche la sua brillante intelligenza,
permisero a Jean-Claude di rivedere i sottotitoli in francese di Uccellacci
e uccellini e di inventare il titolo: "Des oiseaux, petits et gros", nonche'
di fare da aiuto a Pasolini per l'Edipo Re in Marocco, e anche di rivestire
la parte di un sacerdote in una scena assieme a Pier Paolo. Le incursioni
attoriali dei critici erano allora correnti, e Jean-Claude prosegui' con
Straub-Huillet in Othon (1968-'69), stavolta nel ruolo, piu' rilevante, del
perfido Marciano, con dialoghi travolgenti in coppia con "Jubarite Semaran",
cioe' Jean-Marie stesso in veste insolita di attore.
Ero riuscito anche a strappargli qualche articolo per la rivista che allora
dirigevo, "Cinema & Film". Non si capiva bene se l'attivita' di scrittura
critica lo interessasse davvero: quel poco che concedeva era comunque
lavorato parola per parola (me ne rendevo conto traducendolo in italiano), e
la sua pigrizia era dunque compensata dalla densita' concettuale.
Fra i tanti lavoretti, ci dev'essere stato anche un passaggio con me
all'ufficio documentazione della Mostra di Pesaro. Poi ci dev'essere stata
un'amnistia in Francia, e nel 1970 e' potuto tornare nella sua Parigi, ma
conservando sempre con l'Italia un rapporto privilegiato. L'ho visto, la',
saltuariamente ma regolarmente.
Qualche anno dopo, era il 1977, riusci' a debuttare come regista di
lungometraggio con Le theatre des matieres, su cui scrisse un elogio sui
"Cahiers" Serge Daney, e che non sono mai riuscito a vedere. Vidi invece il
successivo Loin de Manhattan (1980), con la sua grande amica Laura Betti, e
invitai entrambi nel 1981 al festival di Salsomaggiore, dove partecipo' a
una bella tavola rotonda sul nuovo cinema degli anni '60 assieme a
Bargellini, Farassino, Gianni Amico, Stavros Tornes... (c'e' una foto di
gruppo che li ritrae tutti assieme). Devo ammettere che lo conosco meglio
come critico che come cineasta. Dei suoi otto lungometraggi ne ho visto solo
un altro, Le complexe de Toulon (1995), che mi e' piaciuto senza vero
entusiasmo. Ma come critico l'ho sempre trovato prezioso e imprevedibile.
Pur appartenendo alla "scuola Cahiers", le sue preferenze per gli autori
erano eclettiche, e ancor di piu' quelle per i film di tali autori. Amava
Rohmer e Jacques Tourneur, Eustache e gli Straub, Pasolini naturalmente e di
recente, a sorpresa, Mario Soldati; e di Hawks, per esempio, preferiva Land
of the Pharaohs (cioe' La regina delle piramidi, 1955) a piu' reclamizzati
capolavori. Nell'insieme aveva un gusto piu' marcatamente classico che
moderno.
Non ha mai scritto molto, e tuttavia doveva essere ben cosciente del valore
di cio' che scriveva se ha sentito il bisogno (o altri per lui) di
raccoglierlo in volume: Poetique des auteurs (1988) nelle edizioni dei
"Cahiers du Cinema", poi di recente, per le edizioni P. O. L. di "Trafic",
Qu'est-ce qu'un cineaste? (replica palese a Bazin) e Cinemanuel. Non va
dimenticato inoltre che e' stato lui a curare (assieme a Emmanuel Crimail)
il libro postumo di Daney, L'exercice a ete' profitable, Monsieur. (scritto
cosi', col punto finale: e' la risposta che il giovane John Mohune da' al
"padre" Stewart Granger nella versione doppiata in francese di Moonfleet, da
noi Il covo dei contrabbandieri, 1955, l'amatissimo, da entrambi, film di
Fritz Lang). (Da noi e' stato tradotto dal Castoro come Il cinema e oltre.
Diari 1988-1991).
L'imminente Mostra di Pesaro lo ricordera', il Festival di Torino progettava
una retrospettiva. Se ne vanno sempre i migliori, e ci si rammenta di loro
sempre troppo tardi.
4. LUTTI. GIANFRANCO CAPITTA RICORDA MARISA FABBRI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 giugno 2003. Gianfranco Capitta e'
critico teatrale de "Il manifesto", per Radiotre Rai ha curato servizi e
rubriche di cultura e spettacolo. Ha pubblicato, insieme a Roberto Canziani,
un'opera monografica su Harold Pinter, Harold Pinter, un ritratto, e
un'altra dedicata al regista Cesare Lievi. Con Gigi Cristoforetti ha
realizzato il volume dedicato ai venti anni del Centro Teatrale Bresciano,
per il quale ha scritto il saggio sul regista Massimo Castri]
Se ne e' andata una delle poche vere signore della scena italiana, Marisa
Fabbri. Una delle piu' grandi come attrice, certo la piu' energica e
appassionata. A settantasei anni, dopo aver combattuto nell'ultimo periodo
contro un male terribile, e' uscita di scena. E lascia un vuoto grandissimo,
difficile da accettare per chi ha conosciuto la sua vitalita' incontenibile.
Per la sua classe di attrice, per quanto ha elaborato e imposto in tanti
anni di lavoro, per le sonorita' incredibili di una pronuncia perfetta e
ogni volta reinventata, e per le sue battute mordaci che da fiorentina
terribile dispensava con dei fantastici, compiaciuti sorrisi d'alta scuola,
sotto i riccioli biondi che curava con metodo (la debolezza di un famoso
parrucchiere a via Condotti). Ma con la coerenza mai rinnegata di una vita
politica, dentro e fuori dalla scena, che ne fanno davvero la madre Courage
del teatro italiano di questi trent'anni. Attrice bravissima, piena di
riconoscimenti e lodi, eppure mai appagata. Sempre disposta a ricercare il
nuovo o una piu' intensa comunicazione con il pubblico e con la societa'.
Capace di mettersi a disposizione di un giovanissimo regista o di un nuovo
scrittore, per inventare modi sempre nuovi di fare teatro. Inesauribile.
Anche se lei poteva vantare di aver lavorato da protagonista, caso quasi
unico, sia con Strehler che con Ronconi. E anche se l'espressione "lavorato"
e' del tutto insufficiente a esprimere l'importanza che lei ha avuto nel
lavoro dei due nostri massimi artisti della scena.
Con Ronconi ha condiviso quasi tutto dai primi anni settanta, fino a
diventarne quasi il corpo teatrale per eccellenza, l'interprete bionica di
cui bastava una sola sillaba per riconoscere il tanto discusso e
inconfondibile "marchio" ronconiano. Ma con Strehler, oltre a esser stata
parte delle sue ultime grandi realizzazioni nei sessanta al Piccolo,
condivise l'avventura folle e piu' azzardata, la fuoriuscita sessantottesca
dal Piccolo, con quel feticcio dell'antifascismo radicale che fu il
Fantoccio lusitano di Peter Weiss, portato nelle case del popolo prima
ancora che nei grandi teatri.
La politica era la sua passione, ma anche la normalita' della sua vita
quotidiana: "Il manifesto" era forse il suo giornale preferito (e chiamava
anche, o lasciava messaggi arguti, per complimentarsi o condividere una tesi
o un titolo; divorava i pezzi di Pintor e Rossanda, ma il suo preferito era
da sempre Valentino Parlato; e su ogni iniziativa culturale o specificamente
teatrale si dichiarava sempre disposta a mettersi in prima linea).
Dagli anni settanta dunque si schiero' con Ronconi, e basta pensare alla
epifania di Clitennestra nell'Orestea iscatolata nel legno. Ma lei resta
anche l'icona del Laboratorio di Prato: per lei il regista invento' le
Baccanti come monologo, un rito di iniziazione al teatro e alla vita
attraverso i corridoi e le stanze dell'orfanotrofio Magnolfi. E' stata
un'esperienza che in molti casi ha cambiato il senso del teatro per i
privilegiati che poterono assistervi. Una invenzione strepitosa che al lume
di candela viveva solo del suo corpo e della sua voce. Da allora Marisa
Fabbri e' stata al fianco di Luca Ronconi, anzi in prima fila nel suo
teatro. Ed e' una folla quella dei suoi personaggi che si addensano
indimenticabili: badessa nei Dialoghi delle Carmelitane e scienziato in
panni maschili nell'Ignorabimus di Arno Holtz, lungo le nove ore della sua
durata filata al Fabbricone di Prato (e ancora al maschile e' stata in
seguito un inquietante giardiniere nel Lutto si addice ad Elettra di
O'Neill); e ha il suo volto una delle ricerche piu' avanzate condotte sul
rapporto tra teatro e televisione, nel John Gabriel Borkman di Ibsen
realizzato dallo stesso Ronconi per Raidue. Ma non era un rapporto
"monogamico" quello col suo regista preferito.
Marisa Fabbri aveva uno straordinario talento comico (al di la' della
simpatia generosa e fluviale della sua vita privata), capace di farsi
irresistibile sulla scena. E' stata cosi' la svagata e furbesca zia Leonia
nei Parenti terribili di Cocteau per l'Eliseo con Giancarlo Cobelli, e
quando ha preso il coraggio di fare Gallina vecchia di Novelli (un mito
d'infanzia per lei fiorentina) ha conteso a Sarah Ferrati la palma di quel
testo di appartenenza. Aggiungendo alla propria arguzia quella di un'intera
cultura cittadina. Ma poco prima, a Venezia con Giancarlo De Bosio, ci aveva
rivelato un testo di Goldoni poco conosciuto e rappresentato, Le Massere, un
altro fragoroso successo.
Un'altra sua passione fondamentale era la scuola, la formazione e la
trasmissione a nuove generazioni di attori del suo grande sapere, che come
si e' capito non era solo scenico. Ha insegnato per molto tempo
all'Accademia d'arte drammatica, quasi una sua seconda casa, ed e' stata un
baluardo della scuola dello stabile torinese fondata da Ronconi (cosi' come
era una delle presenze piu' attente e scrupolose nella giuria del Premio
Riccione di drammaturgia). E poi c'era la sua passione per il nuovo, che
fossero drammaturghi o registi da aiutare e promuovere con la sua presenza e
la sua interpretazione. O lo scavo in autori non facili come Pasolini e
l'amatissimo Calvino. E i laboratori che era capace di tenere lontano dalle
capitali teatrali, piuttosto a Pontedera o a Buti. Molti devono alla sua
malleveria, al suo coraggio leonino, di essersi fatti conoscere o di aver
debuttato gia' ad alto livello.
Tanto era l'orrore (e le battute sferzanti) di Marisa Fabbri per "il nuovo
che avanza" nella politica di questi anni, quanto invece era disposta a
rischiare su un talento da scoprire. Del resto in tempi non sospetti era
stata in prima fila in testi ostici come Attraverso i villaggi di Peter
Handke allo stabile di Trieste, dove con Fulvio Tolusso si era costruita
molti anni fa una storia professionale improntata gia' alla assoluta ricerca
di una nuova comunicazione.
Ora tutte quelle sue signore si affollano nella memoria, insieme ai piccoli
privilegi che da signora della scena non le dispiaceva permettersi, fossero
i vesti di Armani o i prediletti spostamenti in taxi in cui dilapidava le
paghe conquistate insieme ai riconoscimenti. E sono proprio quelle sue
creature e il ricordo della sua simpatia a far sembrare impossibile ora che
il teatro italiano abbia perduto la sua signora piu' autorevole.
5. LUTTI. GIANNI MANZELLA RICORDA MARISA FABBRI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 giugno 2003. Gianni Manzella e' un
noto studioso di teatro, scrive sul "Manifesto" e dirige la rivista "Art'o"]
Un angolo grigio, spoglio. Un lettino ospedaliero appoggiato contro una
parete. Seduta in faccia al muro, l'attrice, i capelli chiari a caschetto
che brillano sotto la luce spiovente sull'abito scuro. E' una delle immagini
che sigillano nella memoria le Baccanti di Prato. Mancano dall'immagine i
ventiquattro spettatori che ogni sera seguivano l'attrice attraverso le
stanze vuote dell'istituto Magnolfi, e che giustificavano quella prova
solitaria, in quanto riflessione sulla comunicazione teatrale. Nel momento
in cui tante immagini diverse si affacciano insieme - e tutte legate a una
diversa emozione, dalle mobili apparizioni dell'Orestea alle lunghe nove ore
condivise nella costrittiva struttura di Ignorabimus - in questo momento
doloroso e pure chiarificatore, e' quasi inevitabile che ci si fermi su
quello spettacolo straordinario. (Inutilmente si e' sperato piu' avanti che
potesse essere ripreso, ne sono sempre mancate le condizioni).
Marisa Fabbri e' stata ben piu' di un'attrice di talento. E Baccanti e'
stato ben piu' del manifestarsi di un talento scenico d'eccezione. In quel
reale laboratorio condotto da Luca Ronconi, si scardinava il pilastro delle
strutture drammaturgiche convenzionali, il concetto di personaggio,
indicando cosi' la possibilita' di un altro teatro e di un'altra forma di
comunicazione. Passando oltre l'idea della rappresentazione. E l'attrice non
interpretava tutti i ruoli, bensi' era investita dell'esperienza complessiva
del testo. Un analogo percorso doveva allora compiere anche lo spettatore,
abbandonandosi alle oscurita' di un'esperienza che andava oltre l'assistere
al conflitto drammatico fra due o piu' personaggi ma era quel conflitto.
C'era una nota che rendeva inconfondibile la voce di Marisa Fabbri. Che dava
il timbro, per cosi' dire, alle sue interpretazioni. Mai psicologiche. Una
volta solo aveva voluto farsi da se' il proprio spettacolo, lei che era
abituata a recitare con i maestri della scena italiana, passata dallo
Strehler sessantottesco a Ronconi. Aveva intitolato V.O.C.E. il monologo
imbastito intorno al tema della pace e della guerra, sul filo di una
classicita' inesorabilmente lacerata, giacche' contrapponeva la poesia
antica di Omero e Euripide e Virgilio alla contemporaneita' beat di Gregory
Corso e del suo esorcistico poema Bomba. Ma dietro l'acronimo costruito con
le iniziali dei poeti era ben visibile la presenza di una "voce", quella di
chi se ne faceva interprete. Il suo unico personaggio.
6. DIBATTITO. LUISA MURARO: TUTTO O NIENTE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo articolo di Luisa Muraro apparso su "L'Unita'" del 7
giugno 2003 col titolo "Per vincere". Luisa Muraro insegna all'Universita'
di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima". Dal
sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo una sua scheda
biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque
fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione
allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di
Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera
accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella
scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]
Ci sono di quelli che dicono: lasciamo perdere le polemiche, il problema e'
non perdere una sola occasione per battere la destra al governo. Li capisco,
pero' penso: non basta proporsi il risultato elettorale, per vincere bisogna
proporsi qualcosa di piu' e di meglio. Per vincere, bisogna aprire un
orizzonte che, per molti, non sappiamo quanti, si e' chiuso con la fine del
comunismo. Non vale solo per quelli che sono stati comunisti. E non occorre
essere (stati) comunisti per capirlo.
Non so se chi mi legge ha visto Tutto o niente di Mike Leigh. E' un film
ambientato in un'anonima periferia inglese, duro ma coinvolgente e vero. Non
racconta fatti atroci, non parla di gente marginale o esclusa, parla di
persone che tirano avanti avendo un lavoro, una famiglia, qualche scampolo
di vita sociale. Una settimana fa, il direttore di questo giornale gli ha
dedicato un lungo editoriale, Le anime morte della politica. Diceva: questo
film contiene una rivelazione che ci interessa tutti, parla di gente che la
politica ha abbandonato del tutto, come un mare prosciugato da cui sono
stati ritirati progetti, programmi, ideali, militanza, partecipazione.
Sono molto d'accordo con questa lettura e quello che sottintende. Ma ho
un'aggiunta da fare, che riguarda il finale. Il direttore non lo commenta,
ma dal finale dipende il senso del titolo, Tutto o niente. A un certo punto
capita che uno dei protagonisti, un tassista sempre malmesso, mite e
tremendamente scoraggiato, tiri su una cliente per una lunga corsa e che lei
abbia voglia di fare conversazione. Lei lo interroga, lui guida e parla, lei
lo ascolta. Parlando, capisce quello che manca nella sua vita, quello che la
fa "semivuota". Non lo dice alla cliente, lo dira' alla moglie, dopo molte
ore di assenza da casa. Non e' niente di quello che il film faceva supporre,
tipo lo squallore dei cortili, la ristrettezza dell'appartamento, la
disoccupazione del figlio: la sua pena e' avere perso l'amore della sua
compagna. Si indovina che in quelle ore ha pensato di farla finita: tutto o
niente. La storia finisce che i due si parlano, in lei si scioglie il groppo
di risentimento che aveva verso l'uomo e tornano a volersi bene, come agli
inizi e forse di piu'.
Dal finale dipende il senso del titolo e, aggiungo, dell'intero film, pero'
vediamo come. Con quel finale, non si tratta piu' di un film di denuncia. La
morale politica non la tiriamo noi che guardiamo il film, ce la insegnano i
suoi personaggi. Questa gente "abbandonata dalla politica", che s'ingegna a
sopravvivere con un'enorme fatica quotidiana cui il regista ci fa
partecipare, non chiede la nostra compassione ne' aspetta la nostra
indignazione. E, per finire, sono loro che ci insegnano la via d'uscita. E'
giusto che sia cosi'. Non e' piu' tempo di fare denunce in vista di
suscitare un'indignazione e una mobilitazione delle coscienze. Le mediazioni
che una volta agivano in questi casi, sono ormai estinte. Ero bambina e
ricordo il generoso fervore con cui il mio paese si mobilito' per dare
ospitalita' ai profughi del Polesine. Oggi ho una casa tutta mia e non ci
faccio dormire persone senza casa, neanche d'inverno. Io non sono cambiata,
e' cambiata la civilta'.
Ma l'amore sarebbe la via d'uscita? Non lo so. Certo, ci vuole qualcosa che
ci sbilanci, da dentro. Ci vuole un "movente" vero, che ci schiodi dalla
ripetizione. La razionalita' tutta e solo laica, per dire: ragionante e
calcolatrice, non ha la forza di vincere, perche' resta dentro l'ordine
costituito, i cui giochi sono ormai tutti giocati e noti. Doveva essere la
fine della storia, e' cominciata invece una storia di eversione. Un
Berlusconi e' riuscito a vincere sui politici di professione non perche'
fosse piu' intelligente di loro, ma proprio perche' loro erano dei
professionisti, mentre lui nel gioco e' entrato portando un interesse extra
(e molto pressante, come sappiamo: salvare il suo impero affaristico e non
finire in galera).
Ormai, stando alle regole del gioco, per bene che vada, si va in pari,
com'e' successo all'avversario di Bush nelle elezioni presidenziali. Per
vincere bisogna avere una passione e scommettere... Tutto o niente, e' una
parola contraria all'arte della mediazione, che in politica e' necessaria.
Ma intendiamoci: non si puo' mediare all'infinito, c'e' un punto passato il
quale la politica perde ogni senso e diventa la foglia di fico messa sopra
il privilegio e il dominio.
Mi chiedo se questo punto non lo abbiamo gia' passato. Voglio dire che la
politica delle regole e dei professionisti, da sola, non fara' vincere gli
abitanti delle periferie urbane, quale che sia il risultato elettorale: non
li riguarda piu'. Non li fara' vincere neanche che vinca la sinistra su
questioni di principio, per quanto sacrosante, come l'articolo 18, se la
misura dell'essere resta quella del successo, del potere e dei soldi. Non
serve, d'altra parte, che cerchiamo di correggere questa misura con valori
etici che, praticamente, sono vestiti che si puo' indossare solo in certi
posti, a certe condizioni, non in quei casoni e bar che fa vedere il film di
Mike Leigh (ma non occorre andare al cinema per sapere di che cosa parlo).
Forse invece li fara' vincere uno spostamento dello sguardo, esattamento
come quello che opera il film, che non denuncia lo sfruttamento, non accusa
il potere, ma si volta verso la sofferenza di quelle donne e di quegli
uomini, un patire comune e differente per ognuno di loro, e verso le loro
risposte, spesso fallimentari ma non sempre... Con il risultato elementare
quanto fondamentale di dare loro esistenza simbolica e di renderli
protagonisti delle loro vite. Loro e noi, perche' si tratta anche di noi e
del nostro patimento, abbassati come siamo anche noi al di sotto della
nostra capacita' di vivere con gioia e generosita'.
7. DIBATTITO: ROSSANA ROSSANDA: IL SIMBOLICO E IL MATERIALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 giugno 2003 riprendiamo questo
articolo li' comparso col titolo "Un aspetto per volta". Rossana Rossanda e'
nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista,
dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla
rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure
piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista
prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei
movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica
attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di
Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o
della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche
per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987;
con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma
1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione,
immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri,
Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della
testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e
politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e
interventi pubblicati in giornali e riviste]
Possibile che il pensiero delle donne debba spazzar via tutto quello che ha
prodotto il movimento operaio e comunista? Nel giorno in cui il governo
abbatte i diritti del lavoro, priva il salariato delle poche garanzie che
aveva sul proprio destino, ne fa non piu' che uno snodo intermittente,
precario, a chiamata del processo produttivo o dei servizi, una delle nostre
piu' interessanti femministe - Luisa Muraro su "l'Unita'" di ieri - ci
informa "che non e' piu' tempo di fare denunce in vista di suscitare una
indignazione o una mobilitazione delle coscienze" perche' la mediazione "che
agiva in questi casi e' estinta". Suppongo che la mediazione fosse il
contratto di lavoro, o quello sulla previdenza. E prosegue "la politica
delle regole e dei professionisti da sola non fara' vincere gli abitanti
delle periferie urbane. Non li fara' vincere neanche che vinca la sinistra
su questioni di principio, pur sacrosante, come l'articolo 18, se la misura
dell'essere resta quella del successo, del potere, dei soldi...". Brutte
parole, successo, potere, soldi (sono piu' accattivanti riconoscimento,
autorevolezza e agio); ma tradotte per "gli abitanti delle periferie urbane"
significano poter prevedere un percorso professionale, poterne contrattare
tempo e modi, contare su un salario. Muraro sa che il conflitto sociale si
svolge comunque dentro al sistema, che per uscirne si dovrebbe mirare piu'
in alto - o tutto o niente - ma poi declina il "tutto" in un atteggiamento
mentale: "Forse li fara' vincere uno spostamento dello sguardo che non
denuncia lo sfruttamento, non accusa il potere, ma si volta verso la
sofferenza di quelle donne e di quegli uomini... con il risultato elementare
quanto fondamentale di dare loro esistenza simbolica e renderli protagonisti
delle loro vite".
Sono riflessioni suggerite dal film di Mike Leigh Tutto o niente, in Italia
uscito solo ora, differente da quelli di Ken Loach perche' non parla di una
certa lotta, vittoriosa o sconfitta, ma dell'affogare degli affetti e delle
relazioni nella durezza della vita dei poco abbienti. Ma davvero Mike Leigh
o Luisa Muraro sosterrebbero che la relazione personale o affettiva azzera i
rapporti di forza materiali, e bastera' a liberare i lavoratori, sempre piu'
simili al tassista del film e felicemente descritti ieri da Manuela
Cartosio? Non credo.
Muraro si interroga non sull'indifferenza ma sul che fare. E rimprovera alla
sinistra del Novecento di aver creduto che basti operare sul o nel sistema
dei rapporti di proprieta', e di dipendenza del lavoratore, per risolvere i
problemi di un uomo o una donna, non vedendo che fra cielo e terra ci sono
piu' cose che nel modo e rapporti di produzione. La vulgata sindacale e
comunista non hanno, per esempio, visto la differenza fra i sessi, o al piu'
hanno proposto di portare le donne al livello degli uomini. Rimprovero di
economicismo, di cui molti oggi si battono il petto.
E' un rimprovero giusto, anche se il movimento operaio partiva proprio dalla
constatazione d'una sofferenza. Ma e' lecito derivare dalla sua sordita'
alla problematica dei sessi e della persona, sessuata o no, che la
disoccupazione o le condizioni di sfruttamento del lavoro non fanno piu'
problema? Che per chi lavora avere o no un contratto nazionale, un impiego
non precario o non averlo, qualche diritto o no rispetto all'impresa, fa lo
stesso? Oppure che "ormai" e' inutile battersi perche' quel che avviene e'
fatale?
Io sono una vecchia comunista cui le femministe hanno aperto gli occhi su
molte cose. Ho riflettuto sui limiti dell'emancipazione. Ma non ne concludo
che se ne possa fare a meno. Affatto. Non ha senso ribaltare sul movimento
operaio, cancellandolo, la sua cecita' sulla differenza fra i sessi.
Possibile che dell'umana condizione non si possa vedere che un aspetto per
volta?
Gettate gli uni sugli altri uno sguardo partecipe, sarete e saranno liberi.
L'ho gia' sentito dire, e da gente con la quale Luisa Muraro non vorrebbe
aver a che fare. Vogliamo cessare questo, chiedo scusa, noioso conflitto fra
il primato del simbolico sul materiale reale o viceversa?
8. DIBATTITO. LUISA MURARO: CARA ROSSANDA
[Questo articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2003
col titolo "No, non vediamo un aspetto per volta"]
Cara Rossanda, ti ringrazio per l'attenzione che hai dato al mio articolo su
"l'Unita'" di sabato, Per vincere, ma temo di non avere scritto le cose che
tu critichi, quando esclami polemicamente nei miei confronti: "Possibile che
dell'umana condizione non si possa vedere che un aspetto per volta?". Che
sarebbe, nel mio caso, la differenza dei sessi.
Riassumo il mio articolo (che ora si puo' trovare nel sito
www.libreriadelledonne.it). Io dico che, per vincere, non basta mirare al
risultato elettorale secondo le forme della democrazia rappresentativa,
bisogna portare nella lotta politica qualcosa di altro, di extra, perche' la
fine del comunismo ha chiuso l'orizzonte e bisogna riaprirlo. Sostengo che
la lotta politica che sta tutta dentro le regole, tutta affidata ai politici
di professione, rischia ormai di essere una foglia di fico sopra la realta'
del privilegio e del dominio. Che cosa ci vuole allora, in piu'? Elenco e
scarto alcune risposte: la denuncia dello sfruttamento e dell'ingiustizia;
lottare su questioni di principio come l'articolo 18; puntare sui valori
etici. Non pretendo che siano cose sbagliate, ma insufficienti: non bastano
a vincere. E rispondo: per vincere, prestiamo attenzione alla sofferenza
corrente delle nostre vite, a cominciare dalle vite schiacciate di tanti che
hanno perso ogni fiducia nella politica; facciamo con la politica quello che
Mike Leigh fa con il cinema: restituire consapevolezza e protagonismo a chi
portava ciecamente gli effetti di una convivenza umana degradata.
Come si puo' vedere, io non sono una che, per pensare la politica delle
donne, deve spazzare via quello che ha prodotto il movimento operaio e
comunista. Al contrario, direi. Cara Rossanda, perche' possa risponderti
bisogna che mi riconosca nelle tue parole di critica. Per esempio, non
sostengo che la relazione personale o affettiva azzeri i rapporti di forza
materiali, come tu mi fai dire. Ma penso che, per combattere i rapporti di
forza e per vincere, sia necessario portarsi su un piano di essere (e di
politica) in cui l'attenzione alla sofferenza personale e la cura delle
relazioni sono beni preziosi. Tu contrapponi quello che io non contrappongo
e mi accusi di un esclusivismo che forse appartiene piu' a te che a me. Un
altro esempio. In chiusura dici: vogliamo cessare questo noioso conflitto
fra il primato del simbolico e il primato del materiale reale? Il noioso
conflitto lo hai evocato tu. Per parte mia, penso che l'analisi solo
economica della realta' sia politicamente inconcludente; puo' essere
scientificamente giusta ma non se ne puo' dedurre una politica se non si
considera quello che sentono, pensano, desiderano le donne e gli uomini
interessati. Non solo. Per vincere, bisogna anche che questo sentire,
pensare e desiderare si iscrivano in un orizzonte di possibilita'
alternative.
Su questi temi rimando a Christophe Dejours e al suo libro tradotto anche in
italiano (L'ingranaggio siamo noi. La sofferenza economica nella vita di
ogni giorno, Il Saggiatore, 2000), dove dice, fra l'altro: il silenzio
sociale sull'ingiustizia e l'infelicita', silenzio che ha permesso il
trionfo dell'economicismo, potrebbe dipendere, in definitiva, da un
appuntamento storicamente mancato delle organizzazioni sindacali con la
questione della soggettivita' e della sofferenza; da qui, un enorme ritardo
nei confronti delle tesi avanzate dal liberismo economico, e da qui anche la
grave difficolta' ad avanzare un progetto alternativo all'economicismo di
sinistra come di destra.
9. RIVISTE. "L'INCONTRO"
"L'incontro", mensile diretto da Bruno Segre, e' una voce di forte impegno
per la democrazia, la liberta' di coscienza e i diritti umani. Per
informazioni e contatti: via Consolata 11, 10122 Torino, tel. e fax
0115212000, e-mail: linc(a)marte.aeree.it
10. RIVISTE. "MANI TESE"
"Mani Tese" e' il notiziario mensile dell'omonimo organismo impegnato contro
la fame e per lo sviluppo dei popoli, una delle piu' importanti ong
italiane. Per informazioni e contatti: piazza Gambara 7/9, 20146 Milano,
tel. 024075165, fax 024046890, e-mail: manitese(a)manitese.it, sito:
www.manitese.it
11. RIVISTE. "ROMA CARITAS"
"Roma Caritas" e' il sempre interessante bimestrale della Caritas di Roma;
la redazione e' in piazza S. Giovanni in Laterano 6/a, Roma, tel.
0669886417, fax: 0669886381, e-mail: ufficio.stampa(a)caritasroma.it, sito:
www.caritasroma.it
12. RIVISTE. "SEGNO"
"Segno", il mensile palermitano diretto da padre Nino Fasullo, e' una delle
migliori riviste di impegno civile e culturale. Ogni volume e' un vero e
proprio libro di saggi, di autrici e autori sovente prestigiosi non solo per
dottrina ma per saggezza e coraggio grandi, da leggere e postillare dalla
prima all'ultima riga. Per informazioni e contatti: c. p. 565, 90100
Palermo, tel. e fax: 091228317, e-mail: rivistasegno(a)libero.it
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta(a)sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben(a)libero.it;
angelaebeppe(a)libero.it; mir(a)peacelink.it, sudest(a)iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info(a)peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac(a)tin.it
Numero 584 del 17 giugno 2003
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Numero 583 del 16 giugno 2003
Sommario di questo numero:
1. Daniele Lugli, Mao Valpiana: il programma della camminata Assisi-Gubbio
per la nonviolenza
2. Strumenti: l'agenda "Giorni nonviolenti 2004"
3. Verso i corpi civili di pace
4. Stephanie Hiller: radici di pace
5. Giobbe Santabarbara: nessun essere umano e' un clandestino
6. Ida Dominijanni: sette voci per una sfera pubblica
7. Franca D'Agostini: un ponte per l'occidente diviso
8. Matteo Soccio: una bibliografia essenziale sulla liberazione
9. "A. Rivista anarchica" di giugno 2003
10. "Amici dei lebbrosi" di giugno 2003
11. "Messaggero cappuccino" di maggio-giugno 2003
12. "Nigrizia" di giugno 2003
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. INIZIATIVE. DANIELE LUGLI, MAO VALPIANA: IL PROGRAMMA DELLA CAMMINATA
ASSISI-GUBBIO PER LA NONVIOLENZA
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: azionenonviolenta(a)sis.it)
riceviamo e diffondiamo. Daniele Lugli e' il segretario del Movimento
Nonviolento, Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta"]
Il Movimento Nonviolento promuove, come da decisione congressuale dello
scorso anno, l'iniziativa In cammino per la nonviolenza, ideale prosecuzione
della marcia per la nonviolenza "Mai piu' eserciti e guerre" del 2000. La
proponiamo percio' all'attenzione di quanti hanno contribuito al suo
successo.
Come si potra' ricavare dal seguente programma, si tratta di un percorso di
riflessione e di incontro attraverso momenti differenti (camminata,
convegno, festa). Ci sarebbe particolarmente caro ritrovare gli amici con i
quali gia' abbiamo condiviso un tratto di strada.
Per evidenti ragioni organizzative saremmo grati di un sollecito riscontro
presso la sede nazionale del Movimento Nonviolento.
Fraterni saluti,
il segretario del Movimento Nonviolento, Daniele Lugli
il direttore di "Azione nonviolenta", Massimo Valpiana
*
Programma dell'iniziativa "In cammino per la nonviolenza"
Si conclude a Gubbio, il 6 e il 7 settembre prossimi, con un convegno sulla
soluzione nonviolenta dei conflitti ed un momento di festa per i
quarant'anni di "Azione nonviolenta", il percorso avviato dal Movimento
Nonviolento lo scorso anno, al ventesimo congresso nazionale.
Un prologo di grande interesse e' costituito dalla camminata in due giorni,
4 e 5 settembre, lungo il sentiero francescano della pace Assisi-Gubbio. Il
sentiero, molto bello e ben tenuto, di grande interesse naturalistico e
storico, ripropone l'antico tracciato piu' volte percorso da Francesco.
Si giunge a questo appuntamento dopo un percorso annuale di riflessione su
dieci parole ispirate al pensiero della nonviolenza: forza della verita',
coscienza, amore, festa, sobrieta', giustizia, liberazione, potere di tutti,
bellezza, persuasione.
Ci hanno aiutato scritti di amiche ed amici, che hanno collaborato a questo
progetto, e frasi di Francesco, Gandhi, Capitini, Luther King.
E' stata richiesta l'autorizzazione dell'iniziativa come aggiornamento per
gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.
La segreteria organizzativa e' presso il Movimento Nonviolento, via Spagna
8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail
azionenonviolenta(a)sis.it, sito: www.nonviolenti.org
*
Camminata sul sentiero della pace Assisi-Gubbio
Giovedi' 4 settembre 2003
Ore 10: partenza da Assisi - Porta S. Giacomo (Possibilita' di parcheggio a
San Francesco al Cimitero).
Ore 13: pausa pranzo alla Pieve San Nicolo'.
Ore 15: ricomincia il cammino.
Ore 18: arrivo a Valfabbrica e sistemazione nel centro sportivo comunale.
Cena libera.
Ore 21: incontro aperto alla cittadinanza.
Venerdi 5 settembre 2003
Ore 8: colazione.
Ore 9: partenza da Valfabbrica.
Ore 11: breve sosta alla diga per uno spuntino.
Ore 13: pausa pranzo a Biscina.
Ore 15: arrivo a San Pietro in Vigneto, custodito dall'eremita padre
Basilio.
Ore 16: ripresa del cammino.
Ore 20,30: arrivo a Gubbio alla chiesa della Vittorina. Sistemazione in una
palestra di Gubbio. Cena libera.
*
Convegno: "Al posto della guerra. Un'Europa disarmata". Gubbio - Centro
Servizi.
Sabato 6 settembre
Ore 15: relazioni di:
- Giuliano Pontara, "L'Occidente? Una buona idea. Provateci";
- Paolo Bergamaschi, "Commissione Europea e corpi civili";
- Gianni Scotto, "Conflitti e movimenti in Europa".
Dibattito.
Domenica 7 settembre
Ore 9,30: prosecuzione dibattito.
Ore 10,30: relazioni di:
- Antonio Papisca, "L'Europa e la nuova Onu";
- Gianni Tamino, "L'Europa aperta ai 25";
- Marco Revelli, "Partiti e movimenti alla prova della costruzione europea";
- Lidia Menapace, "La convenzione di un'Europa neutrale";
- Nanni Salio, "Il ruolo dei nonviolenti nella nuova Europa".
Dibattito.
Conclusioni di Daniele Lugli, segretario del Movimento Nonviolento.
Ore 13,00: ine dei lavori.
Buffet alla bottega del commercio equo-solidale di Gubbio.
*
Momento corale: festa per i quarant'anni di "Azione nonviolenta"
Gubbio, sabato 6 settembre 2003
Ore 12 - piazza Grande: riceviamo il benvenuto dagli sbandieratori di
Gubbio.
Ore 14,45 - Centro Servizi: inaugurazione della mostra delle copertine di
"Azione nonviolenta".
Ore 21 - Teatro Romano: grande festa con canzoni, letture e testimonianze,
per ripercorrere insieme le dieci parole della nonviolenza. Interviene
Ascanio Celestini, raccontastorie. Seguira' un concerto di Paolo Bergamaschi
e i suoi suonatori.
*
Gli spazi espositivi
Negli spazi espositivi del Centro Servizi, per tutto l'arco dell'iniziativa,
saranno allestiti mostre, sale video e stand di riviste, associazioni e
movimenti amici.
Durante i lavori del convegno e' previsto un laboratorio per i bambini dal
titolo "In bocca al lupo!".
*
Dove dormire
Grazie alla collaborazione delle amministrazioni comunali, due palestre
ospiteranno i camminatori nelle notti del 4 settembre (Valfabbrica) e del
5-6 settembre (Gubbio). Chi desiderasse una sistemazione meno "francescana",
ad Assisi, Valfabbrica e Gubbio, puo' fare riferimento a:
- Assisi: Domus Pacis - Santa Maria degli Angeli, tel. 0758043530, fax
0758040455; Camping Hotel Green - Assisi, tel. 075813710, fax 075812335.
Link all'Azienda Turistica di Assisi.
- Valfabbrica: Hotel Ristorante Villa Verde, tel/fax 0759029013; Albergo
Scavezzi, tel. 075.9029013.
- Gubbio: I. A. T. (Azienda Turistica), tel. 0759220693 - 0759220790, fax
0759273409, e-mail info(a)iat.gubbio.pg.it, sito: www.umbria2000.it
*
La scheda di adesione
Per evidenti motivi organizzativi, alla camminata da Assisi a Gubbio potra'
partecipare un numero limitato di persone (al massimo 150/200); il percorso
di 46 chilometri e' agevole, ma impegnativo; le condizioni logistiche (cibo
e pernottamento) saranno "francescane".
Chiediamo percio' un'iscrizione preventiva, con un anticipo di euro 10,00.
La quota complessiva per i 4 giorni (camminata, piu' convegno e festa) e' di
euro 50,00, riducibile per chi partecipa ad una parte dell'iniziativa o per
difficolta' economiche.
E' consigliabile iscriversi fin d'ora, compilando e inviando il seguente
modulo:
"Anch'io cammino per la nonviolenza.
Desidero partecipare:
- alla camminata Assisi-Gubbio dei giorni 4 e 5 settembre;
- al convegno "Al posto della guerra" - Gubbio, 6 e 7 settembre.
Cognome e nome, indirizzo, cap e citta', telefono e e-mail.
Invio un anticipo di euro 10,00 e resta inteso che ricevero' una lettera di
conferma con tutte le indicazioni necessarie.
Firma"
Riprodurre a spedire a: Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona.
2. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2004"
E' possibile (ed opportuno) prenotare fin d'ora l'agenda "Giorni nonviolenti
2004", che sara' possibile ricevere a casa ai primi di ottobre. L'agenda e'
realizzata dalle Edizioni Qualevita, che pubblicano il bimestrale di
riflessione e informazione nonviolenta "Qualevita", che hanno stampato molti
utilissimi libri, e che ogni anno mettono a disposizione di tutti gli amici
della nonviolenza e piu' in generale di tutte le persone di volonta' buona
l'agenda "Giorni nonviolenti", che oltre ad essere un pratico diario e' una
vera miniera di informazioni, riflessioni, proposte e indirizzi utili per
l'impegno di pace e di solidarieta'.
E' opportuno che le prenotazioni siano tempestive affinche' le Edizioni
Qualevita possano stampare un numero adeguato di copie. Una copia costa 9,50
euro (comprese le spese di spedizione); per chi prenota piu' copie sconti
progressivamente sempre piu' consistenti (ad esempio: per cinque copie il
costo unitario scende a 8,10 euro; per 10 copie a 7,55; per 50 copie a 6,50
euro, e cosi' via).
Per richieste e per informazioni: Edizioni Qualevita, via Buonconsiglio 2,
67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 086446448 - 3495843946, e-mail:
sudest(a)iol.it
3. INIZIATIVE. VERSO I CORPI CIVILI DI PACE
[Ringraziamo Silvano Tartarini, dei Berretti Bianchi, animatore di tante
iniziative di pace e di nonviolenza (per contatti: bebitartari(a)bcc.tin.it)
per averci inviato questo comunicato]
Si e' tenuto a Bologna nei giorni 6, 7 e 8 giugno un forum "Verso i corpi
civili di pace: per una politica europea nonarmata". Il forum ha preso la
decisione di costituire una rete di associazioni e ong che intervengono
nelle zone di conflitto esercitando funzioni di prevenzione, di
interposizione e di diplomazia popolare. La rete vuole creare una sinergia
tra le organizzazioni che:
- faciliti il lavoro delle organizzazioni aderenti;
- sostenga i volontari/e nel lavoro sul campo;
- reperisca i fondi per sostenere la ricerca, la formazione e l'azione;
- acquisisca le relazioni dei monitoraggi dei volontari/e sul campo e ne dia
diffusione presso la societa' civile, i media e le istituzioni italiane e
internazionali;
- metta in comune le conoscenze teoriche e pratiche sul tema;
- operi per promuovere i contatti con i coordinamenti gia' esistenti sia a
livello europeo che internazionale.
Si e' altresi' rilevata la necessita' di ottenere un riconoscimento
istituzionale dell'utilita' del lavoro dei volontari di pace in zona di
conflitto.
Come primo passo e' stata lanciata una campagna volta a ottenere la
possibilita' per i volontari dell'astensione dal lavoro per un periodo di
tre mesi avendo garantito il posto di lavoro, come gia' avviene per la legge
sulla protezione civile.
E' stata inoltre inviata una lettera al Presidente del Consiglio dei
Ministri e al Presidente della Repubblica che richiama la necessita' di
inserire il tema dei Corpi civili di pace, collocandolo nella sua giusta
luce, nella Carta Costituzionale Europea.
Hanno aderito alla rete le seguenti associazioni: Berretti Bianchi onlus,
Movimento Nonviolento, Centro studi difesa civile, Associazione Papa Givanni
XXIII - Operazione Colomba, Movimento internazionale della riconciliazione,
Gavci, Coordinamento obiettori forlivesi.
Ha presieduto ai lavori Giancarla Codrignani, presidente della Lega
obiettori di coscienza.
*
Lettera aperta
Alla cortese attenzione del Presidente della Repubblica
Alla cortese attenzione del Presidente del Consiglio dei Ministri
Il valore del servizio civile nella costruzione di un mondo di pace e' stato
efficacemente e solennemente richiamato dal Presidente della Repubblica
nelle celebrazioni del 2 giugno. Si offre oggi al nostro Paese una
straordinaria occasione perche' questa convinzione trovi adeguato spazio
nella Convenzione dell'Unione Europea.
Era il maggio del 1995 quando, in un dibattito sul futuro dell'Unione, il
Parlamento Europeo ha adottato una proposta di Alexander Langer sulla
creazione di un Corpo Civile di Pace Europeo, primo passo alla prevenzione
dei conflitti. E' certo che un'efficace gestione civile della crisi nei
Balcani avrebbe almeno evitato i suoi esiti piu' sanguinosi.
La proposta del '95 e' stata ripresa nel '99 dal Parlamento Europeo come
raccomandazione al Consiglio. Ancora nella plenaria del 2001 il Parlamento
Europeo ha ribadito la necessita' di istituire un Corpo Civile di Pace
Europeo, strumento di intervento dell'Unione in aree di crisi.
Nel testo predisposto per la Convenzione Europea, cioe' per la base
costituzionale dell'Unione, deve a nostro avviso entrare il ripudio della
guerra, come previsto dall'articolo 11 della nostra Costituzione. Si
sottolinea poi che nel testo predisposto per la Convenzione Europea il ruolo
dei Corpi e del Servizio Civile e' menzionato, ma in modo inadeguato
rispetto al compito disegnato dallo stesso Parlamento Europeo. Tali compiti
sono infatti confinati al pur importante ambito della protezione civile e
degli aiuti umanitari, mentre, a nostro parere, tali compiti dovrebbero far
parte dell'ambito della difesa- sicurezza.
Un Corpo Civile di Pace Europeo, che sappia unire la miglior
professionalita' degli operatori con la valorizzazione delle esperienze
compiute da molte organizzazioni volontarie in situazioni di conflitto,
costituirebbe certamente uno strumento efficace di costruzione della pace
attraverso la mediazione, la riconciliazione, la promozione della fiducia
tra le parti, gli aiuti umanitari, il disarmo, la smobilitazione e il
reintegro dei profughi e degli ex combattenti, la riabilitazione, i rispetto
dei diritti delle donne, il monitoraggio dei diritti umani.
Il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione, nel momento in
cui un italiano presiede la Commissione Europea, e' la condizione
privilegiata perche' i massimi organi dell'Unione diano seguito concreto a
proposte maturate e vagliate a livello parlamentare, portando a compimento
la felice intuizione di Alexander Langer. Momento significativo e necessario
e' appunto l'inclusione a pieno titolo del Corpo Civile di Pace Europeo
nella Convenzione, riprendendo ed esplicitando il richiamo che della stessa
e' contenuto cosi' come l'inclusione di questo tema nell'ordine del giorno
delle prossime riunioni del Consiglio.
E' questo l'appello che come organizzazioni riunite a Bologna dal 6 all'8
giugno sul tema "Verso i Corpi Civili di Pace - Per una politica europea non
armata" ci sentiamo di rivolgere a Lei e al Presidente della Repubblica,
confidando nell'impegno delle massime autorita' dello Stato Italiano.
A loro assicuriamo il contributo della nostra esperienza e del nostro
impegno per la realizzazione di un comune obiettivo.
Con ogni considerazione,
Per le organizzazioni: Associazione Antica come le Montagne (Bologna),
Associazione Eticonomia (Prato), Associazione Orlando (Bologna),
Associazione Papa Giovanni XXIII - Operazione Colomba (Rimini), Associazione
per la Pace (Roma), Associazione radicale Giorgiana Masi (Bologna), Beati i
Costruttori di Pace (Padova), Berretti Bianchi (Lucca), Centro Studi
Difesa Civile (Roma e Perugia), Centro Studi Sereno Regis (Torino),
Coordinamento Obiettori Forlivese (Forli'), Donne in Nero (Roma), Gavci
(Bologna), Fondazione Alex Langer (Bolzano), Lega Obiezione di Coscienza
(Roma), Movimento Internazionale della Riconciliazione (Torino), Movimento
Nonviolento (Verona), Pax Christi (Tavernuzze Firenze), Rete Lilliput - Nodo
di Bologna, Volontari di Action for Peace, riunite a Bologna dal 6 all'8
giugno sul tema "Verso i Corpi Civili di Pace - Per una politica europea non
armata",
per la segreteria del Forum "Verso i Corpi Civili di Pace", Silvano
Tartarini
(per contatti: Silvano Tartarini, ia F. Carrara 209, 55042 Forte dei Marmi
(LU), e-mail:bebitartari@bcc.tin.it, tel. 3357660623
Bologna, 8 giugno 2003
4. INIZIATIVE. STEPHANIE HILLER: RADICI DI PACE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59(a)libero.it) per
averci inviato la traduzione di questo articolo di Stephanie Hiller,
direttrice di "Awakened Woman"]
Non e' un problema intervistarla. Heidi Kuhn comincia a parlare e una
cascata di metafore si riversa dalle sue labbra, una cascata rinforzata
dall'entusiasmo che ella prova per il suo lavoro umanitario, l'impresa a cui
ha dato inizio: trasformare i campi minati in vigneti.
Questa ex corrispondente della Cnn stava allattando il suo quarto bambino
quando alzo' un bicchiere di vino per fare un brindisi alla pace: "Possa il
mondo mutare le mine in vigne" disse allora, nel settembre 1997. Fondo' allo
scopo un'organizzazione nonprofit, "Roots of Peace" (Radici di pace) per
continuare il lavoro della Premio Nobel Jody Williams, ovvero l'ingaggiare
sminatori per estrarre l'esplosivo nascosto nella terra.
Due anni prima, Heidi aveva fatto un voto sacro. Colpita dal cancro, prego'
per il dono della vita e promise che se fosse vissuta avrebbe fatto tutto
quanto era in suo potere per preservarla. Questa sacra promessa le da'
ancora oggi l'incredibile energia con cui affronta uno dei problemi piu'
spaventosi al mondo.
Ci sono 70 milioni di mine in 70 paesi del nostro pianeta. Il loro costo di
produzione va dai 3 ai 30 dollari, ma costa 1.000 dollari rimuoverne una
sola. Sebbene 130 nazioni abbiamo sottoscritto il trattato di Ottawa sulle
mine (1997) per il quale Jody Williams ricevette il Nobel, 48 paesi fra cui
gli Usa, la Russia, la Cina, l'India, il Pakistan, Israele e l'Egitto non
l'hanno ancora firmato.
Ogni anno, le mine mutilano o uccidono 26.000 innocenti: per la maggior
parte si tratta di donne e bambine/i. Le donne che perdono le gambe sono
spesso oggetto di ostracismo e ridotte ad una vita di miseria e malattia.
In Cambogia, queste donne rifiutate dalla comunita' avevano formato una
sorta di colonia nelle montagne. Fortunatamente scoperte da una ong, che ha
provveduto loro fondi di microcredito, oggi hanno sviluppato un fiorente
commercio di sciarpe di seta. Ma in Cambogia restano dai 4 ai 6 milioni di
mine antiuomo conficcate nel terreno e si stima che ci vorranno 200 anni per
rimuoverle tutte.
Questa e' l'eredita' della guerra: in Cambogia, Serbia, Kosovo, Afghanistan
e Iraq, il piccolo peso del piede di una bimba e' sufficiente per far
esplodere la mina che spezzera' la sua vita.
"Ad ogni seme che piantiamo, spiega Heidi, creiamo letteralmente le radici
della pace. Se posso fare questo, con quattro figli, pensa a cio' che
ciascuno di noi puo' fare! Ognuno di noi puu' fare la differenza". E' il
mito primario della dea ad ispirarla: la sua fertilita', la sua abilita' nel
produrre la vita, la sua misteriosa eppur concreta fecondita'. Un miracolo
di cui ha fatto esperienza lei stessa, guarendo dal cancro cervicale e
restando poi incinta per la quarta volta.
L'entusiasmo di Heidi e' contagioso: "Sento una grande passione per tutto
cio' che riguarda le donne. Non abbiamo solo il capitale intellettuale da
spendere, ma le risorse del cuore. Siamo le portatrici della vita, mettiamo
al mondo i bambini, e abbiamo la sapienza dei semi. Sappiamo che ci sono
soluzioni!" E la sua soluzione e': via le mine da questo terreno, e
piantiamoci delle sementi. Cibo. E' riso in Cambogia, sono fichi in Libano,
caffe' in Angola, e nella piana di Shomali, a nord di Kabul, stanno per
apparire 120 varieta' di piante a grappoli, uva ed altre. Secondo Heidi, il
cibo e' la migliore tecnica antiterrorismo che il mondo puo' adottare.
Radici di pace, letteralmente.
5. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: NESSUN ESSERE UMANO E' UN CLANDESTINO
Per il fatto di venire al mondo, ogni essere umano acquisisce il diritto a
vivere ed a cercare di migliorare le sue condizioni di esistenza.
Che esseri umani oppressi da violenze, guerre, fame, si spostino in cerca di
un posto in cui vivere meglio, e' la cosa piu' naturale di questo mondo, ed
e' un diritto che a nessuno puo' essere negato.
E cosi' non esistono clandestini, ma persone.
E cosi' se una cosa deve farci paura, e merita la nostra riprovazione, non
sono le sorelle e i fratelli che ai fratelli e alle sorelle chiedono aiuto,
avendone pieno diritto essendo noi tutti particole di una medesima umanita';
quello che ci e' di scandalo e vergogna e' che potenti razzisti e fascisti,
ed i trattati hitleriani e le leggi leonine e antropofaghe da essi
proditoriamente imposti, pretendano di negare l'altrui diritto a vivere.
6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: SETTE VOCI PER UNA SFERA PUBBLICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo giugno 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini(a)ilmanifesto.it) e' una prestigiosa intellettuale
femminista]
Da sempre fautore della costruzione europea, ma convinto altresi' che essa
non si realizzi senza la crescita di una "sfera pubblica" fatta non solo di
istituzioni ma soprattutto di coscienza, discussione e partecipazione
civile, il filosofo tedesco Juergen Habermas ha preso una efficace
iniziativa.
In concomitanza con le sessioni finali della Convenzione di Bruxelles che
dovrebbe partorire la Costituzione europea, ha preparato un denso articolo
sullo stato e sul futuro dell'Unione e ha chiesto ad altri intellettuali
europei di scriverne anch'essi uno ciascuno sullo stesso tema e nello stesso
giorno su altrettanti quotidiani a larga diffusione.
Cosi' ieri l'iniziativa ha preso corpo su "la Repubblica" (Umberto Eco), "La
Stampa" (Gianni Vattimo), "El Pai"s (Fernando Savater), la "Neue Zuercher
Zeitung" (Adolf Muschg); Habermas stesso firma in coppia con Jacques Derrida
sulla "Frankfurter Allgemeine" e su "Liberation", e sulla "Sueddeutsche
Zeitung" scrive, unico statunitense, Richard Rorty.
E' un classico caso in cui la pratica e' il messaggio, perche' al di la' del
contenuto, pur rilevante, dei singoli articoli e' il loro comparire
simultaneamente a farsi segno della possibilita' che la sfera pubblica
europea prenda effettivamente corpo, e della necessita' che un largo
dibattito sul senso dell'Unione ne accompagni la costruzione istituzionale.
Per molti versi consonanti (ma non concordati, assicurano gli autori), gli
articoli infatti non si soffermano tanto sui nodi controversi che lacerano
in queste settimane la Convenzione presieduta da Giscard, quanto sulle
questioni dell'identita', della memoria e del progetto dell'Europa,
verificate alla luce della configurazione assunta dal mondo globale dopo le
grandi cesure dell'89, dell'11 settembre e della guerra in Iraq.
*
Non che le due prospettive siano separabili, anzi: la seconda, quella
dell'identita', acquista un peso prioritario proprio in relazione
all'orientamento degli autori sulla prima, quella istituzionale.
Proprio se si vuole un'Unione comunitaria e non intergovernativa, da
costruire cedendo e non trattenendo sovranita' nazionale, dotata di una
iniziativa autonoma nella politica globale, bisogna incardinare queste
scelte istituzionali su un patrimonio comune di esperienze, di valori, di
memorie. Quali? L'eredita' della cultura greca e giudaico-cristiana, della
rivoluzione scientifica moderna, della Rivoluzione francese; l'esperienza di
un capitalismo corretto dalla lotta di classe, e di sistemi politici che
hanno saputo vivere anche di confronto ideologico; la memoria di una lunga
storia di guerre fratricide e la ferita della Shoah, che possono ribaltarsi
in un sentimento di rispetto per l'alterita'; l'esperienza del crollo degli
imperi coloniali, che puo' vaccinare dall'eurocentrismo; la sedimentazione
dello jus publicum, che puo' far barriera alla distruzione del diritto
internazionale firmata Usa; il lungo tracciato della secolarizzazione, che
immunizza gli europei dalla seduzione di presidenti texani autoinvestiti di
una missione divina.
*
Si tratta, com'e' evidente, di un catalogo non solo storico e culturale ma
attualissimo e politico, che serve per delineare i contorni di una Europa
che se da un lato e' la matrice dell'Occidente intero, dall'altro lato puo'
diventare oggi il contrappeso, e l'alternativa alla deriva di
autodistruzione dell'Occidente che incombe dall'altra sponda dell'Atlantico.
La sottolineatura della matrice occidentale unitaria non fa mai scivolare
gli autori in un antiamericanismo approssimativo; tuttavia e' molto netto il
giudizio sulla deriva della politica di potenza armata e del modello sociale
individualistico e competitivo d'oltreoceano. E altrettanto netto e' il
senso della cesura profonda rappresentata dalla guerra all'Iraq: Habermas in
particolare data al 15 febbraio di quest'anno, giornata delle oceaniche
manifestazioni no-war, la nascita della sfera pubblica europea che gli sta a
cuore, e a tutta la fase di preparazione della guerra il precipitare di
fratture politiche e culturali decisive fra modello europeo-continentale e
modello atlantico.
Eco allunga la vista in avanti: se con l''89 l'Europa ha perso la
centralita' geopolitica che aveva quando era la perenne posta in gioco del
conflitto fra Usa e Urss, oggi che gli Stati Uniti volgono lo sguardo al
Pacifico l'Europa rischia addirittura di scomparire nello scenario
planetario. Il vecchio continente non ha scelta: o declina ripiegando su se
stesso, o rilancia ricollocandosi nel mondo globale. Contro gli Usa? Si' e
no.
Richard Rorty: "Sia in Europa che in America milioni di persone vedono
chiaramente che la pretesa egemonica degli Usa e' un errore terribile. Gli
americani che ne sono consapevoli hanno bisogno di ogni possibile aiuto per
convincere i loro concittadini che Bush sta portando il paese su una strada
sbagliata. Il consolidamento dell'Unione europea sarebbe visto da questa
parte dell'opinione pubblica americana non come espressione di un
antiamericanismo risentito, ma come una reazione adeguata e benvenuta al
pericolo che l'attuale politica estera americana rappresenta per il mondo".
Una e' la matrice, uno, o almeno legato a doppio filo, resta il destino
dell'Occidente.
7. RIFLESSIONE. FRANCA D'AGOSTINI: UN PONTE PER L'OCCIDENTE DIVISO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2003. Franca D'Agostini e'
autrice di fondamentali ricognizioni sulla riflessione filosofica
contemporanea europea ed americana, ed ha particolarmente tematizzato la
differenza di approccio tra "continentali" (area europea) ed "analitici"
(area angloamericana)]
L'evento mediatico progettato da Habermas e realizzato, sabato 31 maggio,
consistente nel far intervenire simultaneamente su grandi quotidiani europei
un certo numero di intellettuali - oltre allo stesso Habermas, Jacques
Derrida, Fernando Savater, Gianni Vattimo, Adolf Muschg , Richar Rorty e
Umberto Eco - tutti invitati a pronunciarsi sul tema dell'identita'
dell'Europa, e' gia' in se stesso, nel suo concepimento e nella sua
effettiva realizzazione, il frutto di un'ipotesi o una speranza tipicamente
europea: la speranza habermasiana che esista o si possa costruire qualcosa
come una sfera pubblica, in cui qualche intellettuale possa intervenire con
la forza spirituale delle proprie idee, e pertanto agire sulla effettivita'
politica, o contribuire alla messa a punto di un progetto politico.
Cosi', al di la' di quel che hanno scritto i partecipanti a questo gesto di
stile situazionista (qui evidentemente il medio era il messaggio), solo
l'idea e l'effettuazione di un pronunciamento di questo tipo si rivela un
prodotto di marca europea. In particolare, cio' risulta tanto piu' evidente
se si considera che gli invitati a pronunciarsi sono tutti piu' o meno
definibili - o si sono per un certo tempo definiti - come "filosofi", e
tutti - piu' o meno radicalmente - di orientamento continentale (non e'
intervenuto per esempio Tugendhat, che pure gia' da molti anni e' un
sostenitore del ruolo anti-egemonico dell'Europa). Per via indiretta,
dunque, la scelta dei partecipanti voleva dire (o poteva voler dire) che
nella questione dell'identita' europea "la filosofia" - e soprattutto l'uso
politico-culturale delle idee, della teoria - gioca un ruolo del tutto
particolare, e particolarmente significativo.
Nessuno lo ha rilevato apertamente, e questo non sorprende: anche se
avessero avuto una mezza idea al riguardo - se mai ricordando quanto
Heidegger insistesse sulle colpe e i meriti del logos nei destini
dell'Occidente - tanto Habermas, quanto Vattimo, quanto Eco e Derrida (il
quale si e' limitato a scrivere una breve nota di approvazione del testo di
Habermas) si sarebbero ben guardati dal renderla esplicita: in qualita' di
vecchie volpi della teoria concreta tutti loro sanno perfettamente che gia'
solo nominare la parola filosofia puo' evocare nel politico, nell'economista
o nel giurista in ascolto un sorriso di scherno; cosi' che, di li' in
avanti, qualunque cosa si dica sara' irrilevante antiquata e astratta.
*
Eppure, proprio "la filosofia", piu' del cinema o dell'arte, o di qualsiasi
altro prodotto dell'intelletto (o della ragione), sembra essere in gioco nel
l'attuale confronto tra Europa e America, tra mondo anglo-americano e
"vecchia Europa". Ed e' in gioco, mi sembra, almeno a tre livelli:
anzitutto, in quanto c'e' oggi una divergenza che ha anche connotati ideali,
e riguarda orientamenti teorici di fondo; in secondo luogo perche' l'uso
europeo delle idee, della teoria, e' diverso da quello che si prevede in
ambito anglo-americano; in terzo luogo perche' (e questo non riguarda
l'America in generale, ma l'attuale presidenza) e' probabile che i difetti
dell'amministrazione Bush, e di altre amministrazioni affini, consista
proprio in una effettiva e sistematica sottovalutazione o ignoranza dei
problemi teorici ad ampio raggio, e in profondita', quali sono quelli
generalmente messi in campo dalla filosofia.
*
Circa il fatto che nel problema dell'identita' dell'Europa siano in gioco
valori, idealita' e culture, Rorty non sembra essere d'accordo.
Nel suo appassionato intervento ha insistito su un punto: oggi l'Europa e'
chiamata ad essere unita contro la politica di Bush; e' questa l'unica e
l'ultima possibilita' per l'Europa non soltanto di assumere un ruolo
decisivo nella futura configurazione mondiale, ma anche di "salvare il
mondo". La politica "forte" di cui l'America di Bush oggi si vanta sara'
perpetuata dai suoi successori (per "non essere da meno"), e questo portera'
prima o dopo alla catastrofe atomica.
Soluzione? Nessuna in particolare, salvo il fatto che - dice Rorty -
l'appello di Habermas e Derrida all'unita' europea e allo stabilimento di un
ordine cosmopolita pluralista, antiegemonico, e tollerante, va senz'altro
ascoltato.
Con queste osservazioni, pero', Rorty porta inavvertitamente un certo danno
al progetto di Habermas.
Se si trattasse soltanto di un disguido legato alla sventurata
amministrazione Bush (e alle sue eredita' future), allora non si
comprenderebbe molto la richiesta habermasiana di riflettere da
intellettuali sull'identita' europea. Quel che Habermas chiede di fatto alle
idee dei suoi amici, e' di costituirsi come principi "catalizzatori" in
grado di raccogliere le forze della "vecchia Europa" contro l'egemonia
americana, e soprattutto contro l'ideologia egemonica che coinvolge le
nazioni europee filoamericane.
La questione di fondo e' dunque una questione di identita' polemica e
politica: come essere e riconoscersi avversari di qualcuno, come essere e
riconoscersi alleati di qualcun altro. Non puo' bastare, evidentemente, dire
che l'Europa deve costituire un polo egemonico alternativo a Bush: sarebbe
come dire che l'Europa deve raccogliersi intorno al proprio puro e semplice
essere Europa, dunque il proprio non essere l'America di Bush. D'altra
parte, non puo' bastare neppure dire che il polo catalizzatore potrebbe
essere un generico cosmopolitismo tollerante e pluralista. Non si tratta
piu' di questo, e lo dimostra il fatto che riguardo al tema piu' scottante,
la guerra, non c'e' pluralismo che tenga, ma si richiede una dura
discussione su valori di fondo.
La guerra figura nei ragionamenti di tutti come una malattia, e un disagio
della storia: anche i piu' bellicisti in sede argomentativa si adattano di
buon grado all'idea della dolorosa necessita'. E naturalmente quando si
tratta di valutare i limiti e le forme di una necessita', tanto piu' se
dolorosa, sono di mezzo i significati, valori, orientamenti, fondamenti,
premesse, destini, obiettivi di una cultura, ossia quell'insieme di teorie
di supporto e di sfondo che da' forma alle societa' umane. In altre parole:
niente e' umanamente necessario se non rispetto a urgenze ed esigenze
determinate, e la modifica di principi preliminari come "non uccidere" puo'
essere considerata necessaria (o non necessaria) solo in rapporto a urgenze
ed esigenze altrettanto fondamentali (se ne esistono).
*
Vattimo e Eco hanno suggerito qualche contenuto su cui potrebbe puntare la
ricerca di una identita' europea. Ed entrambi hanno toccato (Vattimo piu'
distesamente) un tema di natura teorico-politica: il "socialismo" e il
"collettivismo" presenti nel Dna europeo, e assenti in quello americano. Va
notato che - perlomeno in questo contesto e in questa forma - si tratta di
un tema che si dovrebbe definire metafisico (se il termine non spiacesse a
Vattimo e a Habermas), perche' riguarda proprio quelle impostazioni
fondamentali del pensiero, concepite in relazione a certe strutture
fondamentali dell'essere, che guidano il giudizio sulle finalita' di tipo
"cosmopolita" (questioni di diritti umani e di esseri umani).
*
Ora, si puo' forse approfondire il suggerimento, accentuandone il tratto
metafisico. E' indubbio che la cultura filosofica angloamericana
maggioritaria ha saltato a pie' pari (o ha preferito non assimilare) tutta
quella parte della filosofia contemporanea che, dopo Hume, ha specificamente
posto la questione della natura collettiva e non propriamente individuale
della soggettivita'. In autori come Donald Davidson o Robert Brandom
certamente l'idea che il "noi" abbia una certa priorita' (epistemologica e
ontologica) sull'"io" e' avanzata ripetutamente, ma la filosofia di fondo
che ha orientato e tuttora orienta la societa' americana e' ben evidenziata
nel fenomenismo scettico e leggermente paranoide di film come Matrix o
Truman show.
Il brivido cartesiano del dio ingannatore e' bene accetto all'individualismo
medio della cultura angloamericana, e non per nulla e' un tema che percorre
gli esperimenti mentali di tutta una serie di teorici per i quali l'io
individuale e' senza dubbio l'unico punto di partenza possibile (la piu'
facile vittima, peraltro, su cui possa esercitarsi il gioco sadico della
tecnica, che ci permette di ipotizzare cervelli in vasche di liquido
fisiologico, trapianti di identita' e di cervello, casi di ubiquita' dovuti
a paradossi spazio-temporali).
Questo ci permettera' di dire, con buone ragioni, che Rumsfeld nel
ridicolizzare la "vecchia Europa" ha sbagliato valutazione: l'America e'
piu' vecchia della vecchia Europa, almeno in quanto i suoi presupposti
filosofici risalgono al Settecento, mentre quelli europei risalgono
perlomeno all'Ottocento.
*
La dominanza dell'idea di collettivita' naturalmente e' la segreta premessa
metafisica di quella idea di teoria concreta che domina la tradizione
europea, a partire dalla sinistra hegeliana: una visione della teoria come
direttamente votata all'intervento pratico-politico e a incidere
direttamente sui modi di vita e di pensiero. E' di qui che Habermas stesso
trae la sua intuizione della sfera pubblica come terreno di esercizio e
vocazione propria della filosofia.
Il ruolo piu' proprio per un filosofo, ha scritto altrove Habermas, e'
quello di "intellettuale pubblico" che fornisce (perlopiu' non richiesto) la
coscienza critica di una societa'. L'ipotesi e' sicuramente il retaggio di
un'epoca e di un contesto in cui la filosofia aveva una certa egemonia
culturale (l'Ottocento tedesco). In ogni caso e' evidente che il luogo
proprio di tale filosofia non sono le universita' e gli istituti di ricerca,
ma precisamente la sfera pubblica, o in altri termini: un teatro di
intervento mediatico, cioe' le televisioni, i giornali.
E' utile allora ricordare che questo tipo di lavoro non esiste in America.
Li' pero', all'opposto, esiste ed e' riconosciuto un ruolo scientifico della
famiglia di discipline detta "filosofia", e gli imbarazzi degli
intellettuali europei al riguardo non sono per nulla condivisi (forse
perche' non si teme di dover identificare con questa parola la costruzione
del sistema dello spirito assoluto). Non e' un caso che neppure Rorty, unico
americano intervenuto, abbia accennato all'idea di una responsabilita' o di
un ruolo della filosofia nei destini dell'occidente: per lui, per la sua
tradizione culturale, il filosofo e' un "esperto scientifico" (per usare
ancora una categoria habermasiana), e non certo un intellettuale che
interviene sui giornali, e sfida i poteri con la forza delle proprie idee.
Sembra pero', in ultimo, che la differenza non stia soltanto tra tipi di
filosofia e orientamenti filosofici, e pratiche e luoghi deputati della
filosofia, ma tra chi usa la filosofia e ne tiene conto, e chi la ignora,
tra chi prende sul serio le idee, e chi le sottovaluta, o le ignora. Se e'
vero che le idee possono fare danno, come ci dice la storia, e' anche vero
che l'aspetto irresponsabile di molte politiche (americane ed europee)
consiste visibilmente in una certa carenza di idealita', o in una certa
difficolta' a pensare in prospettiva e in profondita'. E qui, su questo
punto, ha ragione Habermas nell'accennare al fatto che c'e' una
responsabilita' degli intellettuali. Su questo punto infatti i filosofi
continentali, pur lodabili in quanto alacri lavoratori della teoria
concreta, che dedicano notte e giorno alla faticosa costruzione della sfera
pubblica (o del dialogo), hanno qualche colpa. A loro principalmente (almeno
ad alcuni di loro) si deve infatti una immagine disfattista e anti-teorica
della filosofia che e' profondamente radicata nella nostra cultura. E anche
a loro si deve quella vasta pragmatizzazione del discorso politico che ha
tolto la teoria dalla prassi, e con cio' ha consegnato la prassi stessa
nelle mani della televisione.
E' anche per questo, e non certo per sudditanza all'imperialismo culturale
americano, che oggi sul continente molti cercano soluzioni nella filosofia
analitica, tipica espressione della cultura angloamericana del Novecento. Se
non altro, la' sicuramente la ricerca teorica, ancorche' chiusa nelle
universita', sdegnosamente lontana dal mondo dei media, e spesso legata a
una metafisica di tipo soggettivista, ha avuto e ha tuttora un certo spazio.
Ma si ha l'impressione, almeno per ora, di passare dalla padella alla brace,
e viceversa: da una parte una filosofia (continentale), che avendo fatto
della prassi la propria bandiera ha finito per essere portata dal vento
degli interessi politici e delle mode culturali (fino al punto da sfiorare
il suicidio, avvertendo di non essere piu' del tutto a' la page);
dall'altra, una filosofia (analitica) afflitta da un eccesso di specialismo,
e da una pericolosa distanza dalla concretezza delle urgenze
politico-sociali (oltre che da una tendenziale sottovalutazione della
filosofia europea dell'Ottocento e del Novecento).
Forse qualcosa sta cambiando, e la ricerca sull'identita' dell'Europa
lanciata da Habermas potrebbe essere una buona palestra in cui i teorici
dell'Occidente diviso (continentali e non) possano verificare le
opportunita' delle rispettive tradizioni culturali. Se e' vero che
l'identita' polemica dell'Europa non deve costruirsi contro gli americani,
ma contro quella degenerazione estrema dell'individualismo che e'
l'imperialismo planetario, ovvero "l'estremo occidente" delle politiche alla
Bush, forse sara' il caso di pensare che l'unico nemico comune e' il mondo
pragmatizzato, in cui non balena neppure lontanamente l'ipotesi di creare
convergenze ideali, come quella cercata da Habermas (e in cui con tutta
probabilita' ci si mantiene cautamente ignari degli sforzi habermasiani in
questo senso).
8. MATERIALI. MATTEO SOCCIO: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLA LIBERAZIONE
[Da "Azione nonviolenta" di aprile 2003 riprendiamo questa bibliografia a
cura di Matteo Soccio, una delle piu' autorevoli figure dell'impegno di pace
e della riflessione nonviolenta]
Filosofia ed etica della liberazione
- A. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 1989;
- F. Battistrada, Per un umanesimo rivisitato. Da Heidegger a Gramsci, a
Jonas, all'etica di liberazione, Milano, Jaca Book, 1999;
- A. Bausola, La liberta', Brescia, La Scuola, 1985;
- L. Boff, Il creato in una carezza. Verso un'etica universale: prendersi
cura della terra, Assisi, Cittadella, 2000;
- E. Dussel, Filosofia della liberazione, Brescia, Queriniana, 1992.
- A. Elenjimittam, Mukti. La liberazione nella filosofia indiana, Milano,
Mursia, 1996;
- E. Fromm, Fuga dalla liberta', Milano, Edizioni di Comunita', 1985;
- R. Garaudy, Danzare la vita, Assisi, Cittadella, 1985;
- R. Guardini, Persona e liberta', Brescia, La Scuola, 1987;
- A. Heschel, Il canto della liberta'. La vita interiore e la liberazione
dell'uomo, Comunita' di Bose, Magnano (Biella), Quiqajon, 1999;
- J. Maritain, Strutture politiche e liberta', Brescia, Morcelliana, 1968;
- J. Maritain, Per una politica piu' umana, Brescia, Morcelliana, 1968;
- J. Maritain, La conquista della liberta', Brescia, La Scuola, 1981;
- L. Pareyson, Ontologia della liberta', Torino, Einaudi, 2000.
*
Liberazione come educazione
- E. Balducci, Educazione come liberazione, Firenze, Chiari, 1999;
- A. Capitini, Il fanciullo nella liberazione dell'uomo, Pisa, Nistri
Lischi, 1953;
- P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Milano, Mondadori, 1971, 2a ediz.,
Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2002;
- P. Freire, L'educazione come pratica della liberta', Milano, Mondadori,
1977;
- M. K. Gandhi, La mia vita per la liberta', Roma, Newton Compton, 1973;
- E. Guidolin - R. Bello, Paulo Freire. Educazione come liberazione, Padova,
Gregoriana Libreria Editrice, 1989;
- M. Laeng, Educazione alla liberta', Teramo, Lisciani e Giunti, 1980;
- E. Passetti, Conversazioni con Paulo Freire, Milano, Eleuthera, 1996;
- L. Rossi, Paulo Freire profeta di liberazione, Torre dei Nolfi, Edizioni
Qualevita;
- V. Zangrilli, Pedagogia del dissenso, Firenze, La Nuova Italia, 1973.
*
Liberazione della donna
- Aa. Vv., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La
Tartaruga, 1987;
- C. Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalita',
Milano, Feltrinelli, 1991;
- L. Muraro, L'ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991;
- Osho, La donna. Una nuova visione, Arona, New Services Corporation, 1997;
- A. Seroni, La questione femminile in Italia 1970-1977, Roma, Editori
Riuniti, 1977;
- S. Ulivieri (a cura di), Educazione e ruolo femminile. La condizione della
donna in Italia 1945-1990, Firenze, La Nuova Italia, 1992.
*
Teologia della liberazione
- Aa. Vv., Verso una teologia della violenza?, Brescia, Queriniana, 1969;
- J. M. Aubert, Diritti umani e liberazione evangelica, Brescia, Queriniana,
1989;
- L. Boff - E. Dussel - F. Betto, La chiesa dei poveri. Venticinque anni di
teologia della liberazione, Roma, Datanews, 1998;
- L. Boff - C. Boff, Come fare teologia della liberazione, Assisi, 4a ed.,
1986;
- L. Boff, La grazia come liberazione, Roma, Borla, 1978;
- L. Boff, Grido della terra grido dei poveri. Per una ecologia cosmica,
Assisi, Cittadella, 1996;
- I. Ellacuria - J. Sobrino, Mysterium liberationis. I concetti fondamentali
della teologia della liberazione, Roma, Borla, 1992;
- G. Gutierrez, Teologia della liberazione, Brescia, Queriniana, 1a ed.
1972, 5a ed. 1992;
- I. Jesudasan, La teologia della liberazione in Gandhi, Assisi, Cittadella,
1986;
- B. Mondin, I teologi della liberazione, Roma, Borla, 1977;
- J. Ramos Regidor, Gesu' e il risveglio degli oppressi, Milano, Mondadori,
1981.
*
Violenza o nonviolenza?
- Aa. Vv., Violenza e nonviolenza, Roma, Citta' Nuova, 1969;
- Aa.Vv., Nonviolenza e marxismo, Milano, Libreria Feltrinelli, 1976;
- Aa.Vv, Marxismo e nonviolenza, Genova, Editrice Lanterna, 1977;
- Aa. Vv., Violenza o nonviolenza, Milano, Linea d'ombra, 1991;
- A. Arendt, Sulla violenza, Milano, Mondadori, 1971;
- A. Arendt, Sulla rivoluzione, Milano, Comunita',1983;
- A. Capitini, Teoria della nonviolenza, "Quaderni di Azione Nonviolenta",
Verona;
- M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Torino, Einaudi, 1973;
- R. Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980;
- J. M. Muller, Il vangelo della nonviolenza, Genova, Editrice Lanterna,
1976;
- P. Ricoeur, La questione del potere. L'uomo nonviolento e la sua presenza
nella storia, Lungro (Cosenza), Marco Editore, 1992;
- K. Satish, Nonviolenza o non esistenza, Roma, Citta' Nuova, 1970;
- J. Semelin, Per uscire dalla violenza, Torino, Edizioni Gruppo Abele,
1985;
- G. Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Torino, Edizioni
Gruppo Abele, 1985-1997.
*
Liberazione animale
- P. Singer, Il movimento di liberazione animale, Torino, Sonda, 1989;
- P. Singer, Liberazione animale, Milano, Mondadori, 1991.
*
Liberazione come risveglio interiore
- E. Barella, La via della consapevolezza: un cammino senza sentieri,
Torino, Psiche, 1997;
- J. Brosse, Satori, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994;
- P. Confalonieri, La saggezza che libera, Milano, Mondadori, 1995;
- T. Gyatso (Dalai Lama), Il sentiero per la liberazione, Pomaia, Edizioni
Chiara Luce, 1997;
- T. Gyatso (Dalai Lama), La via della liberazione, Milano, Pratiche
editrice, 2000;
- J. Krishnamurti, Verso la liberazione interiore, Parma, Guanda, 1998;
- A. M. La Sala Bata', La via della liberazione dalla sofferenza, Roma,
Edizioni Armonia e Sintesi, 1998;
- C. Maccari, Liberazione buddhista e salvezza cristiana, Leumann (Torino),
LDC, 1995;
- Osho, Tecniche di liberazione, Arona, New Services Corporation, 2000;
- U. P. Sayadaw, Proprio in questa vita. Gli insegnamenti del Buddha sulla
liberazione, Roma, Astrolabio, 1998;
- A. W. Watts, La via della liberazione. Saggi e discorsi
sull'autotrasformazione, Roma, Astrolabio, 1992.
9. RIVISTE. "A. RIVISTA ANARCHICA" DI GIUGNO
Lo ripetiamo una volta di piu': "A. Rivista anarchica" e' una delle migliori
riviste mensili di politica e cultura che vi siano in Italia. Ogni numero e'
una miniera di materiali di riflessione, di documentazione, di dibattito.
Nel fascicolo di giugno 2003 tra molte altre notevoli cose segnaliamo
particolarmente una relazione tenuta da Lia Cigarini all'Universita' di
Verona l'11 ottobre 2002 su "Relazione, differenza e altro..." e il
dibattito ad essa seguito. "A. Rivista anarchica" e' disponibile anche in
rete nel sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista; per contatti: c.p. 17120, 20170
Milano, tel. 022896627, fax: 0228001271, e-mail: arivista(a)tin.it
10. RIVISTE. "AMICI DEI LEBBROSI" DI GIUGNO 2003
"Amici dei lebbrosi" e' l'utilissimo mensile, da leggere dalla prima
all'ultima riga, promosso dall'Aifo (Associaizone italiana amici di Raoul
Follereau"), via Borselli 4-6, 40135 Bologna, tel. 051433402, fax 051434046,
e-mail: info(a)aifo.it, sito: www.aifo.it. Nel fascicolo di giugno segnaliamo
particolarmente il dossier di Sunil Deepak su "Donne: quale accesso ai
servizi sanitari?".
11. RIVISTE. "MESSAGGERO CAPPUCCINO" DI MAGGIO-GIUGNO 2003
Il "Messaggero cappuccino" e' il bimestrale d'informazione dei cappuccini
bolognesi-romagnoli; per richieste e contatti: via Villa Clelia 16, 40026
Imola (Bo), tel. 054240265, fax: 0542626940, e-mail:
fraticappuccini(a)imolanet.com, sito: www.imolanet.com/fraticappuccini; e' una
lettura che sempre riconcilia e fortifica, e che vivamente raccomandiamo. Il
fascicolo di maggio-giugno e' sul tema "L'empatia della preghiera".
12. RIVISTE. "NIGRIZIA" DI GIUGNO 2003
"Nigrizia" e' una lettura indispensabile. Questo "mensile dell'Africa e del
mondo nero" curato dai padri comboniani e' (con "Le monde diplomatique" e
pochi altri periodici) una delle fonti d'informazione e dei luoghi di
riflessione imprescindibili per il movimento della pace. L'ampio dossier del
mese e' su "Africa patrimonio dell'umanita'". Per richieste e contatti:
vicolo Pozzo 1, 37129 Verona, tel. 0458092390, fax: 0458001737, e-mail:
redazione(a)nigrizia.it, sito: www.nigrizia.it
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta(a)sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben(a)libero.it;
angelaebeppe(a)libero.it; mir(a)peacelink.it, sudest(a)iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info(a)peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac(a)tin.it
Numero 583 del 16 giugno 2003
Attenzione: il messaggio che risulta inviatovi oggi non ĆØ partito da me
(vedasi la data: si riferisce al 12 aprile...).
Mi sa che si tratta di virus...
Scusate...
Damiano
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LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Numero 582 del 15 giugno 2003
Sommario di questo numero:
1. Severino Vardacampi: due volte si'
2. Matteo Soccio: una bibliografia essenziale su sobrieta', stili di vita,
economia nonviolenta
3. Alessandro Marescotti: un libro sull'esperienza delle bandiere di pace
4. Francesca Borrelli intervista Susan Sontag sul suo libro "Davanti al
dolore degli altri"
5. Paola Springhetti intervista Luisa Muraro sul suo libro "Il Dio delle
donne"
6. Maria Luisa Boccia presenta "A piu' voci" di Adriana Cavarero
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: DUE VOLTE SI'
Votero' si' al referendum che, in quanto vi e' di limpido e condivisibile
nelle intenzioni dei promotori, cerca di difendere il diritto alla salute
minacciato dall'imposizione degli elettrodotti.
Votero' si' al referendum che, in quanto vi e' di limpido e condivisibile
nelle intenzioni dei promotori, cerca di difendere i diritti (mi sia
consentito di dire: i diritti umani) dei lavoratori dipendenti delle piccole
imprese.
Votero' si', in uno stato di costrizione che detesto.
2. MATERIALI. MATTEO SOCCIO: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SU SOBRIETA', STILI
DI VITA, ECONOMIA NONVIOLENTA
[Da "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 2003 riprendiamo questa
bibliografia a cura di Matteo Soccio, una delle piu' autorevoli figure
dell'impegno di pace e della riflessione nonviolenta]
Sobrieta'
- G. Bologna - F. Gesualdi - F. Piazza - A. Saroldi, Invito alla sobrieta'
felice, 3a ed. Bologna, Emi, 2001.
- G. Bormolini, I vegetariani nelle tradizioni spirituali, Torino, Il Leone
Verde, 2000.
- R. Dahlke, Digiuno e consapevolezza, Milano, Tecniche Nuove, 1999.
- G. Gazzeri (a cura di), Il segreto di Igea. Guida pratica al digiuno
autogestito, 2a ed., Genova, Manca, 1990.
- R. Lejeune, Digiunare. Guarigione e festa del corpo e dello spirito,
Milano, Ancora, 1990.
- A. Nicora, Sobrieta' e castita': virtu' del cristiano, Casale Monferrato,
Piemme, 1997.
- J. Pieper, La temperanza, Brescia, Morcelliana, 2001.
- G. Savonarola, La semplicita' della vita cristiana, Milano, Ares, 1996.
- G. Zanga, Filosofia del vegetarianesimo, Torino, Bresci, 1987.
*
Stili di vita
- C. Baker, Ozio lentezza e nostalgia. Decalogo mediterraneo per una vita
piu' conviviale, Bologna, Emi,2001.
- G. Battistella, Nuovi stili di vita. Intuizioni ed esperienze, 3a ed.,
Bologna, Emi,1997.
- G. Martirani, La civilta' della tenerezza. Nuovi stili di vita per il
terzo millennio, 3a ed., Milano, Paoline Editoriale Libri,1997.
- A. Naess, Ecosofia. Ecologia, societa' e stili di vita, Como, Red/Studio
Redazionale,1994.
- W. Pasini, I tempi del cuore. Lentezza e fretta nella vita e nell'amore,
Milano, Mondadori, 1996.
- P. Sansot, Passeggiate, Milano, Pratiche, 2001.
- P. Sansot, Sul buon uso della lentezza. Il ritmo giusto della vita,
Milano, Pratiche, 1999.
- P. Sansot, Vivere semplicemente, Milano, Pratiche, 2000.
- A. Saroldi, Giusto movimento. Piccola guida al paese inesplorato dei nuovi
stili di vita, 2a ed., Bologna, Emi, 1997.
- T. Troglodita, Uso libero e libero uso. Barattare, regalare, condividere,
ospitare: nuove ricchezze per diversi stili di vita, Milano, Stampa Natura
Solidarieta', 1997.
- B. Vallely, Stili di vita. Manuale di ecologia quotidiana. 1001 modi per
salvare il pianeta, Padova, Muzzio, 2000.
*
Poverta' volontaria, poverta' francescana
- M. V. Breton, La poverta', Milano, Biblioteca Francescana, 1982.
- L. Crippa, Poverta' amata poverta' beata, Milano, Ancora, 1989.
- J. Dupont - G. Augustin, La poverta' evangelica, Brescia, Queriniana,
1973.
- L. Foley - J. Weigel - P. Normile, Vivere come Francesco, Padova,
Messaggero, 2002.
- A. Jacquard, Il valore della poverta'. Un grande scienziato ateo riscopre
l'attualita' del messaggio di Francesco di Assisi, Vicenza, Neri Pozza,1996.
- A. G. Melani (a cura di), La poverta', S. Maria degli Angeli (Pg),
Porziuncola, 1967.
- C. Squarise (a cura di), La poverta' religiosa. Un approccio
interdisciplinare, Bologna, Edb, 1991.
- D. M. Turoldo, Profezia della poverta', Sotto il Monte (Bg), Servitium,
1998.
*
Consumo responsabile
- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al consumo critico. Informazioni
sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole, 7a ed., Bologna,
Emi, 2001.
- G. Garbillo, Consumo sostenibile. Per consumare solo cio' che e'
necessario, Milano, Stampa Natura Solidarieta', 1996.
- F. Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al
commercio equo e solidale, Milano, Feltrinelli, 2002.
- Movimento gocce di giustizia, Miniguida al consumo critico e al
boicottaggio, 5a ed. Padova, Coop. spes Editrice, 2001.
- A. Valer, Bilanci di giustizia, Bologna, Emi, 1999.
*
Economia nonviolenta
- AA.VV., Denaro e fede cristiana. Testimonianza e fede dei cristiani per un
uso consapevole del denaro, Bologna, Emi, 2001.
- E. Baldessone - M. Ghiberti - G. Viaggi, L'Euro solidale. Carta d'intenti
per la finanza etica in Italia, 2a ed. Bologna, Emi, 2000.
- Centro nuovo modello di sviluppo, Guida al risparmio responsabile,
Bologna, Emi, 2002.
- M. K. Gandhi, La voce della verita', Roma, Newton Compton, 1991. (Cfr.
cap.: "Idee economiche", pp. 200-247).
- M. K. Gandhi, Il mio credo il mio pensiero, Roma, Newton Compton, 1992.
(Cfr.: pp. 201-275).
- I. Ghizzoni (a cura di), Manuale del risparmiatore etico e solidale, 2a
ed., Piacenza, Berti, 2002.
- T. Perna, Fair Trade, Torino, Bollati Boringhieri, 1998. (Sul commercio
"equo e solidale").
- G. Salio, Elementi di economia nonviolenta, Quaderni di "Azione
Nonviolenta", n. 16, Verona, Edizioni del Movimento Nonviolento, 2001.
- G. Stiz - cooperativa "Il seme", Guida alla finanza etica, Bologna, Emi,
1999.
- Wuppertal Institut (a cura di), Futuro sostenibile. Riconversione
ecologica, nord-sud, nuovi stili di vita, 3a ed., Bologna, Emi, 1999.
3. LIBRI. ALESSANDRO MARESCOTTI: UN LIBRO SULL'ESPERIENZA DELLE BANDIERE DI
PACE
[Alessandro Marescotti e' presidente della rete telematica pacifista
Peacelink (per contatti: sito: www.peacelink.it, tel. 0997303686, e-mail:
info(a)peacelink.it)]
Il libro "Bandiere di Pace - Il mondo in costruzione", Chimienti editore,
sara' presentato ufficialmente a Roma presso la Sala della Protomoteca in
Campidoglio il 26 giugno 2003 alle ore 10 alla presenza degli autori, tra i
quali Giulietto Chiesa e padre Alex Zanotelli. Invitato a partecipare il
sindaco Walter Veltroni.
Il progetto editoriale e' stato promosso dal Comitato per la campagna "Pace
da tutti i balconi" (www.bandieredipace.org), dall'associazione telematica
PeaceLink (www.peacelink.it) e dall'associazione MegaChip di Giulietto
Chiesa (www.megachip.it).
Dalla politica internazionale al ruolo geopolitico e culturale dell'Italia
nel piu' generale contesto dei rapporti tra Oriente ed Occidente, dal
"progetto" americano alla risposta pacifista, passando attraverso i
sentimenti, i pensieri, le paure, le speranze del "popolo delle bandiere
arcobaleno". Un libro che parla alla societa' e al mondo politico, che si
spinge a delineare le future strategie dell'azione nonviolenta, che vuole
essere il segno tangibile di un'iniziativa di pace che non si arresta.
Si e' ragionato molto attorno alla domanda: come si possono rilanciare le
bandiere della pace?
Una delle risposte e' stata questa: per rilanciare le bandiere e' utile
partire da un libro e da un dibattito appassionato attorno ai suoi temi. Lo
abbiamo fatto soprattutto perche' crediamo che tutte le istanze del popolo
della pace, raccolte simbolicamente nelle bandiere arcobaleno che a milioni
hanno colorato le nostre citta', possono mettere radici salde e durature
solo se si promuove la cultura di pace. Costruire un mondo nuovo e'
possibile.
*
Indice:
- Prefazione di Nicoletta Landi (Comitato "Pace da tutti i balconi");
- Introduzione di don Albino Bizzotto ("Beati i Costruttori di Pace");
- Giulietto Chiesa, La sopravvivenza dell'Impero (il progetto americano, il
ruolo dell'informazione, la Chiesa, i pacifisti. Un'analisi severa e
puntuale della situazione politica internazionale e dei suoi possibili
sviluppi);
- Giuseppe Goffredo, "Scontro di civilta'" o "crisi di civilta'"? (il ruolo
geopolitico e culturale dell'Italia fra Europa e Mediterraneo e fra Oriente
e Occidente);
- Gisella Desiderato, Il simbolo e le testimonianze: I. La bandiera
arcobaleno tra storia e leggenda; II. L'onda che sommerge i leader (si
tratta dei messaggi - circa 4.000 - inviati da coloro che hanno aderito alla
campagna "Pace da tutti i balconi". I messaggi sono stati letti, selezionati
ed analizzati da G. Desiderato. E' la fotografia di un popolo, dei suoi
sentimenti, delle sue paure e speranze, della sua voglia di lottare, urlare,
agire, pregare per la pace. Il database, curato dall'Associazione Peacelink,
puo' essere consultato andando sul sito www.bandieredipace.org oppure
all'indirizzo http://db.peacelink.org/volontari/search2.php?id=5 );
- Carlo Gubitosa e Alessandro Marescotti, Le strategie dei pacifisti tra
efficacia e consenso sociale (una lettura sociologica del movimento
pacifista condotta attraverso un'analisi dei linguaggi e della sua
trasversalita'. La campagna delle bandiere di pace e le sue implicazioni.
Analisi del cambiamento della societa' italiana: il fenomeno pacifista nella
sua percezione sociale e nel suo agire politico. Internet e nonviolenza come
strumenti strategici per organizzare le campagne del movimento pacifista);
- Alex Zanotelli, Questo sistema uccide (non siamo cose, siamo volti),
intervista a cura di Maria Piera Lo Prete (la critica al sistema economico
fondato sul profitto e sulla sopraffazione costituisce l'elemento
fondamentale del messaggio di Zanotelli. Analisi delle caratteristiche del
movimento contro la guerra: forza, debolezza, prospettive. L'esperienza
missionaria in Africa, la fede, la solidarieta' globale)
*
Una parte dei proventi derivanti dalla vendita del libro (corrispondente al
10% del prezzo di copertina) sara' destinato al finanziamento di iniziative
di pace, solidarieta' ed informazione democratica.
Un numero elevato di volontari si e' attivato per la promozione e la
diffusione del libro sull'intero territorio nazionale. A tal fine si sono
costituiti coordinamenti provinciali e regionali con i rispettivi referenti.
Sono state contattate migliaia di persone attraverso l'invio di e-mail
(PeaceLink ne ha inviate poco meno di 15.000). Le risposte sono state
numerosissime e piene di entusiasmo. I contatti, presi allo scopo di
verificare la fattibilita' della realizzazione e diffusione del libro sono
stati incoraggianti, anzi sono andati ben al di la' delle nostre previsioni.
Si e' costruita cosi' una fitta rete di collaborazioni tramite internet.
Cio' ha reso possibile l'organizzazione di incontri territoriali e l'avvio
di un progetto di costituzione di redazioni regionali per le attivita' di
informazione a mezzo stampa. Un risultato importante raggiunto grazie al
lavoro svolto con grande entusiasmo e a tempo pieno da Piero Chimienti.
Attualmente i referenti sono oltre 60, i quali, a loro volta, coordinano le
attivita' di diverse decine di associazioni, gruppi e comitati di volontari
che operano per la promozione e la diffusione del libro.
Siamo solo all'inizio di un'avventura che si muove con le nostre tastiere,
le nostre gambe e le nostre idee migliori.
Il libro sara' in vendita presso le librerie "Feltrinelli", librerie "Il
libraccio", le botteghe del commercio equo e solidale, e presso tutte le
librerie che ne hanno fatto espressa richiesta all'editore. L'elenco e'
riportato sul sito di PeaceLink e su tutti quelli che hanno aderito a questa
iniziativa editoriale.
4. LIBRI. FRANCESCA BORRELLI INTERVISTA SUSAN SONTAG SUL SUO LIBRO "DAVANTI
AL DOLORE DEGLI ALTRI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2003. Francesca Borrelli si e'
laureata in lettere moderne con indirizzo in critica letteraria, con tesi
sulle Strutture concettuali e iconiche nell'opera di Carlo Emilio Gadda;
all'87 redattrice culturale del quotidiano "Il manifesto", di cui ha
diretto, nella precedente veste grafica, il supplemento libri. Attualmente
e' inviata per la sezione cultura; ha collaborato a diverse riviste
letterarie con recensioni e interviste; nel secondo semestre del 1997 ha
tenuto diversi seminari nelle universita' statunitensi di Yale, Berkely,
Browne, Harvard; ha pubblicato molti saggi, ed ha tra l'altro curato i
volumi di AA. VV., Un tocco di classico, Sellerio, Palermo, 1987; e AA. VV.,
Pensare l'inconscio. La rivoluzione psicoanalitica tra ermeneutica e
scienza, Manifestolibri, Roma 2001. Susan Sontag - troppo nota per aver
bisogno di presentazioni - e' una prestigiosa intellettuale americana nata a
New York nel 1933; fortemente impegnata per i diritti civili; tra i molti
suoi libri segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in
Contro l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e
Malattia come metafora, presso Einaudi]
Non c'e' forma della rappresentazione - dalla pittura, al cinema, al teatro,
alla letteratura, alla fotografia - che Susan Sontag non abbia
appassionatamente frequentato, indagato, messo alla prova di quel che passa
per essere scontato e al suo sguardo non lo e' mai. Persino l'apparizione
dei primi grattacieli di New York, davanti agli occhi increduli della
attrice polacca protagonista del suo ultimo romanzo In America, si
staccavano con prepotenza dal fondale della nostra immaginazione, ingombrata
da milioni di immagini documentarie e cinematografiche, per avanzare verso
il lettore trascinandolo a una rinnovata meraviglia. Ma forse, di tutte le
arti che hanno catturato l'attenzione di Susan Sontag, la fotografia e'
rimasta nei decenni quella verso cui ha mantenuto una affezione piu'
costante, probabilmente per la seduzione esercitata dal suo carattere di
leggibilita' universale, per l'intrinseca democraticita' del suo valore
testimoniale, che valica le frontiere stabilite dalle lingue e dai
background culturali, sebbene non ci sia evidenza che possa fare a meno
della parola per essere interpretata.
Quando circa trent'anni fa apparve il saggio di Susan Sontag Sulla
fotografia la sua eco fu tale che si riprodusse in una miriade di citazioni,
imitazioni, parafrasi; e non soltanto perche' quasi nulla era stato scritto
fino a allora sull'argomento, ma perche' quel saggio - inaugurale di un
interesse che sarebbe velocemente diventato di moda - conteneva gia' in se'
un panorama dal quale ben poche considerazioni sembravano restare escluse.
Solo apparentemente il libro che esce in questi giorni da Mondadori -
nell'ottima traduzione di Paolo Dilonardo, con il titolo Davanti al dolore
degli altri - riprende la riflessione sulla fotografia per estenderla alle
immagini di guerra: e' piuttosto la storica alleanza tra due messe a fuoco,
quella dell'obiettivo e quella delle armi, a costituire il vero soggetto di
questo saggio.
Fin da quando vennero inventate, le macchine fotografiche stabilirono con la
morte un rapporto privilegiato: negli interni familiari funzionavano a
fissare preventivamente la fisionomia dei propri cari, prima che
diventassero cari estinti, mentre in esterni inseguivano le azioni di guerra
selezionando le atrocita' da mostrare e quelle da occultare; quando non si
dedicarono a ritrarre i prigionieri politici e i presunti avversari
dell'ideologia al potere, pochi istanti prima che venissero fatti fuori. Da
che e' stato possibile, la memoria si affida al fermo-immagine piu' di
quanto ricorra alle sequenze cinematografiche o televisive, perche' - come
ci ricorda Susan Sontag - la fotografia ha l'incisivita' di una massima,
funziona come una citazione, avverte come un proverbio. Il suo contributo al
realismo si nutre di falsificazioni - dalla famosa immagine del soldato
repubblicano ritratto da Robert Capa, all'altrettanto celebre bacio
coreografato da Robert Doisneau: d'altronde, la fotografia "non e' mai solo
il trasparente resoconto di un evento", se non altro perche' "inquadrare
vuol dire escludere", e in fase di stampa i ritocchi sono frequenti. Per non
dire delle potenzialita' aperte dall'era digitale, dove l'arte della
manipolazione e' diventata talmente sofisticata da rendere obsoleta ogni
preventiva messa in scena del fotografo.
La contemplazione di una immagine ci trasforma in voyeur, quando ritrae
violenze e orrori della guerra ci muove a compassione, ma si sa che le
nostre emozioni sono instabili, dunque non possiamo farvi affidamento;
soprattutto perche' - come Susan Sontag ripete piu' volte nel suo libro e
nel corso di questa intervista - "non si dovrebbbe mai dare un 'noi' per
scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri".
*
- Francesca Borrelli: Sebbene lei si sia dedicata con crescente passione
alla tessitura di trame narrative, sembra tuttavia che le sia eticamente
necessario aprire delle parentesi di lavoro da dedicare a altrettanti
affondo nella realta': dall'indagine sulla malattia come metafora alla
ricognizione delle immagini di guerra condotta in quest'ultimo libro. Forse
non e' un caso che anche le sue ultime opere di finzione siano radicate in
un contesto storico...
- Susan Sontag: Proprio cosi', anche se in questo momento ho un dubbio circa
il fatto di avere davvero bisogno di questi intervalli da dedicare a una
indagine etica sulla realta'. Scrivere romanzi mi appassiona di piu', dunque
queste parentesi le sento un po' come un sacrificio. Tuttavia, come ha detto
Oscar Wilde, posso resistere a qualsiasi cosa, salvo alle tentazioni... Ora
che ci penso a posteriori, mi sembra che questo mio libro sia frutto del
destino, ma in realta' e' la conseguenza, appunto, di una tentazione, per
giunta arrivata in una forma anch'essa molto attrente per me: circa due anni
fa mi venne richiesto di tenere una conferenza all'universita' di Oxford
sulla falsariga di un tema che riguarda i diritti e gli errori umani. La
conferenza non era pagata e non era nemmeno previsto il rimborso del
biglietto aereo, perche' i proventi erano destinati a Amnesty International:
tutte condizioni particolarmente tentatrici. Pensai in prima istanza di
scrivere qualcosa sulla guerra - e' questo infatti il vero soggetto del
libro piu' di quanto non lo sia la fotografia - e buttai giu' un primo
canovaccio. Eravamo alla fine di febbraio del 2001, passata la conferenza
pensai che avrei potuto fare di meglio e mi misi a ampliare quella prima
stesura nel corso del successivo anno e mezzo. Intanto ci furono gli
attentati al World Trade Center, una nuova stagione venne aperta dalla
aggressivita' della politica estera di Bush, e tutto questo mi rese piu'
necessario affrontare in modo critico il problema della guerra, che da
sempre mi ossessiona. Dopo essere stata tante volte a Sarajevo credo di
avere una conoscenza della guerra molto piu' profonda che non della
politica. Mi interessava chiedermi quali sentimenti mi provoca, interrogare
le reazioni degli altri, senza limitarmi a esprimere opinioni. E'
incredibile, nonostante tutte le riprese televisive che hanno mostrato
l'assedio di Sarajevo, come in quei giorni ci fossero intellettuali
brillanti, intelligenti, abituati a viaggiare, il cui senso della realta'
non aveva alcun rapporto con la realta' stessa. Mi sono sentita chiedere da
un famoso professore di Oxford quale linea aerea avessi scelto per andare a
Sarajevo, come se fosse possibile sorvolare quello spazio aereo con una
compagnia di volo civile, per poi atterrare in una citta' sottoposta ai
bombardamenti. Prima che partissi, un redattore della "New York Review of
Books" si offri' di mandarmi la rivista nei due mesi in cui sarei stata via.
Gli feci presente che a Sarajevo le poste non funzionavano. Nessun
problema - disse lui - ti mandero' un corriere. Saranno due casi limite, non
so, certo che mi torna sempre in mente la stessa domanda: quando diciamo
"noi" di fronte alla guerra, a chi corrisponde effettivamente questo "noi"?
Mi sembra una entita' un po' sospetta, quanto meno da indagare.
*
- Borrelli: Nel suo saggio Sulla fotografia (Einaudi) lei ha scritto che
come strumento per filtrare il mondo e trasformarlo in immagine mentale, la
stampa sembra meno pericolosa delle immagini fotografiche. La pensa ancora
cosi'? Non le sembra che con la loro evidenza muta le immagini fotografiche
scatenino luoghi comuni, cosiderazioni retoriche, sempre che non occultino
l'inganno di una messa in scena?
- Sontag: Non credo che la fotografia sia piu' pericolosa della stampa,
pero' sono d'accordo che dipende molto dal contesto in cui la si usa. Forse
sarebbe piu' semplice dire che per ricordare sono piu' utili le fotografie,
ma se le si vuole capire abbiamo bisogno delle parole. Con questo non
intendo stabilire una gerarchia, perche' anche quel che si comprende e'
spesso vago, soggetto a variazioni. Nell'aprile del 1945 e all'inzio del
mese successivo vennero scattate le prime immagini a Bergen-Belsen, a
Buchenwald e a Dachau, subito dopo la liberazione dei campi nazisti: ecco,
quelle foto ci mostrano meglio di qualunque racconto una esperienza la cui
crudelta' oltrepassa il limite dell'immaginazione; ma le foto hanno sempre
bisogno di didascalie, devono essere inserite in un contesto di parole. Uno
dei problemi che tratto in questo libro riguarda il modo in cui la storia si
struttura attraverso la memoria fissata nelle immagini.
*
- Borrelli: Infatti, lei scrive che "la memoria collettiva non e' affatto il
risultato di un ricordo ma di un patto", che stabilisce cio' che e'
importante e come sono andate le cose, usando le fotografie come tramite tra
gli eventi e i nostri pensieri.
- Sontag: Certo, se io nomino le Brigate Rosse, immediatamente viene in
mente la fotografia del cadavere di Moro estratto dall'auto, se dico nazismo
penso alle immagini dei campi di concentramento, e cosi' via. Mi sembra che
l'aumento delle informazioni si renda piu' gestibile attraverso delle
fotografie funzionanti come icone; il che apre la strada alla formazione di
cliche', ma non mi sembra cosi' importante. Piu' cruciale sarebbe, invece,
cercare di capire qual e' il livello di manipolazione o di censura al quale
certe immagini sono state sottoposte, e se dietro quelle mistificazioni non
si nascondano altri aspetti della realta', non immediatamente intelligibili.
Inoltre, e' piu' difficile digerire gli orrori e le atrocita' relative a
situazioni storiche non documentate a sufficienza: penso, per esempio, alla
guerra di Corea, della quale non ci sono quasi immagini. Il paese fu
selvaggiamente bombardato, ma non e' un fatto che desto' grande impressione,
proprio perche' non arrivavano fotografie delle rovine. Invece, i villaggi
vietnamiti distrutti vennero ampiamente documentati - per esempio dalle foto
di Burrows pubblicate su "Life" gia' a partire dal '62 - e dunque quella
guerra si e' iscritta nella memoria collettiva come un capitolo
particolarmente violento della storia americana. Siamo cresciuti accumulando
archivi di immagini mentali, che in alcuni casi ci portano a ricordare
diversamente da quanto non faremmo se avessimo soltanto accesso a
informazioni non visive. Ma, in generale, si tende sempre di piu' a sfuggire
le ossessioni visive alle quali le fotografie inchiodano. Non soltanto la
memoria e' fatta di cio' che accettiamo di ricordare, ma talvolta per
rendere possibile una riconciliazione bisogna anche che ci accordiamo sulla
necessita' di dimenticare.
*
- Borrelli: In quest'ultimo libro lei torna su alcune osservazioni, fatte
trent'anni fa, a proposito delle conseguenze che l'inflazione delle immagini
ha sulla nostra capacita' di provare compassione. Allora aveva scritto che
l'impatto emotivo era destinato a diminuire man mano che aumentava la nostra
esposizione al dolore rappresentato nelle fotografie. Oggi dissente da
quelle considerazioni, perche' le sembra che nulla provi la
desensibilizzazione a cui ci sottoporrebbe la nostra "cultura dello
spettacolo". Cosa e' intervenuto a farle cambiare idea?
- Sontag: Faccio mia una frase di Henry James, che diceva di non avere mai
un'ultima parola. Quei saggi ebbero tanta influenza e vennero cosi' tanto
ripresi che e' un po' come se me li avessero strappati dalla pelle. Il fatto
e' che fui fortunata, ereditavo un argomento sul quale esistevano a malapena
due studi, e per di piu' risalivano agli anni '30. Cominciai col domandarmi
in che modo questa nuova forma di conoscenza intervenisse nella formazione
dello spirito moderno, e naturalmente venni catturata da Baudelaire: certo,
non e' stato il primo a riflettere sulla modernita', ma questa analogia tra
l'obiettivo fotografico e l'occhio del flaneur, che va in giro a dragare per
fare acquisti e provarsi sul sesso, mi aveva affascinato. Pero', nemmeno
allora intendevo dire che fosse in atto un processo di desensibilizzazione,
piuttosto mi riferivo al fatto che certe immagini ci eccitano e tuttavia,
dopo un po', ci lasciano indifferenti. Con l'andare del tempo, il mio
interesse per la fotografia ha acquisito una valenza piu' politica,
invecchiando mi sono fatta piu' furba, ho cominciato a interrogarmi sulla
differenza che passa tra "noi", che dalla nostra postazione protetta e
economicamente agiata ci permettiamo di cambiare canale di fronte alla vista
di un telegiornale, e, per esempio, gli spettatori di Al Jazeera. Non credo
che loro condividano il disincanto di Baudrillard per il quale oggi
esisterebbero soltanto realta' simulate. O le dichiarazioni di Andre'
Glucksmann, che arrivo' su un aereo militare a Sarajevo, si trattenne poche
ore e poi se ne venne fuori dicendo che quella guerra era un evento
mediatico. Mi domando come sia possibile essere cosi' scollati dalla
realta', vivere cosi' poco presenti a se stessi e alla storia.
*
- Borrelli: Nelle prime pagine del suo libro lei scrive: "Per i militanti
l'identita' e' tutto". Sembra che l'identita' sia diventata una variante
della religione, e si sa che in nome della religione sono state scatenate,
nel corso della storia, molte delle guerre piu' sanguinose. Non crede che
questa retorica dell'identita' sia diventata particolarmente pericolosa?
- Sontag: Non so se l'identita' stia diventando una religione, ma di certo
la religione e' un fattore identitario al quale la costruzione della
modernita' dovrebbe opporsi. Per me e' un puzzle, non so da che parte
entrarci dentro. Probabilmente, questa nuova rivendicazione di identita' ha
a che vedere con il tramonto della politica. D'altronde, mentre sembrerebbe
avviarsi in Europa un proceso di laicizzazione, in America si fa ricorso ai
valori cristiani sempre piu' spesso. Lo sa come ha risposto Bush alla
domanda su chi fosse il suo filosofo preferito? "Gesu' Cristo" - ha detto.
Per tornare alla questione dell'identita' - non importa se di gruppo,
etnica, politica o sessuale - non c'e' dubbio che ci sia anche un problema
di rappresentanza. Negli Stati Uniti, il 30 per cento della popolazione e'
contro Bush, ma nessuno rappresenta i loro interessi. Inoltre, nuove
identita' vengono create dalle trasformazioni del mondo del lavoro, oppure,
in Europa, dalla moneta unica.
*
- Borrelli: Lei fa un accenno, nel libro, al problema di una ecologia delle
immagini. Almeno in alcuni casi, per esempio, e' prevedibile che i primi
spettatori delle fotografie che documentano orrori e morte siano i parenti
delle vittime di quegli orrori e di quelle morti. Crede sia auspicabile un
limite alla diffusione di alcune fotografie particolarmente cruente?
- Sontag: No, i sentimenti dei parenti delle vittime non giustificano la
censura. Ne' si puo' tenere conto di questioni di buon gusto nel fare vedere
come vanno le cose in alcune aree del mondo. Sono una libertaria radicale;
anche nel caso di fotografie pubblicitarie, come ne ho viste tante in
Italia, che secondo me rappresentano un gratuito insulto alla dignita' delle
donne. Ci sono casi in cui alcune immagini vengono mostrate solo per fare
cassetta, me ne rendo conto, tuttavia se si comincia a distinguere cosa
censurare e cosa no ci si mette in una posizione di debolezza. La verita' e'
che gli scrupoli intervengono sempre quando si tratta di mostrare il dolore
di chi ci e' vicino, mai quando si documentano atrocita' perpetrate in zone
remote del mondo. Sul "New York Times", nel novembre del 2001, vennero
publicate tre foto a colori di Tyler Hicks che mostrano, in sequenza, un
soldato talebano trovato ferito in un fosso dalle truppe dell'Alleanza del
Nord, poi denudato e finito dai soldati accorsi per massacrarlo. Forse si
pensava che a Kabul non ci fossero degli Internet-cafe' dove i parenti del
soldato talebano avrebbero potuto accedere a quelle immagini? Non ci si e'
posti il problema. Invece, le fotografie delle persone che si buttavano
dalle torri del World Trade Center sono state viste in Europa molto prima
che ne venisse consentita la diffusione in America. Il video che riprendeva
il giornalista americano Daniel Pearl, rapito a Karachi, poi costretto a
confessare di essere ebreo e dunque sottoposto a un massacro rituale, venne
tolto dalla circolazione con il pretesto che avrebbe ulteriormente
addolorato la vedova. Ma quello stesso video conteneva anche altri
materiali, tra cui immagini di bambini palestinesi uccisi dai militari
israeliani, dunque vederlo dava informazioni utili.
5. LIBRI. PAOLA SPRINGHETTI INTERVISTA LUISA MURARO SUL SUO LIBRO "IL DIO
DELLE DONNE"
[Dall'ottimo sito della Libreria delle donne di Milano
(www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso sul
quotidiano "Avvenire" del 12 marzo 2003. Paola Springhetti, acuta e
sensibile giornalista e saggista, e' direttrice de "La rivista del
volontariato". Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte
della comunita' filosofica femminile di "Diotima". Dal sito delle sue
"Lezioni sul femminismo" riportiamo una sua scheda biobibliografica: "Luisa
Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel
1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e'
laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito
di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta
dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976
lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha
partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli.
Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia
Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini,
che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona
parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli,
Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla
Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine
simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza
divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000).
Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che
pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed
alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei
volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata
madre nel 1966 e nonna nel 1997"]
Il "Dio delle donne" e' quello delle mistiche che hanno vissuto esperienze
religiose talmente intense da rasentare, a volte, l'inenarrabile. I testi di
queste donne, secondo la filosofa Luisa Muraro, sono un "filone d'oro" che
scorre dal Medioevo ai nostri giorni: un filone ancora da scavare. Ad esso
Muraro attinge per il suo ultimo libro che si intitola, appunto, Il Dio
delle donne, ed e' in uscita da Mondadori (pagine 184, euro 15).
Per riuscire a narrare la loro esperienza le mistiche, a partire dalle
"scrittrici beghine" del secolo XIII, ricorrono alla lingua materna, non a
quella colta normalmente usata per la teologia. La lingua materna, infatti,
sembra piu' adatta a raccontare un Dio piu' incontrato che pensato, piu'
esperito che analizzato. E' cosi'? "Si', e' un Dio piu' vissuto che
studiato", risponde Muraro. "Per capire il 'piu'', teniamo conto che,
escluse alcune contemporanee (Simone Weil, Etty Hillesum, Clarice
Lispector), queste donne sono vissute in una civilta' religiosa. L'incontro
con Dio le fa incontrare con qualcuno di cui gia' sapevano: lo riconoscono
infatti, ma hanno la sorpresa di scoprire che invece non ne sapevano niente.
E' l'incontro con un gia' noto che si rivela essere un ignoto e che tale
restera', in un costante rinnovarsi di questo senso di familiarita' che cede
allo stupore della presenza dell'altro, nuovo e incomprensibile. Fatta
l'esperienza dell'incontro, loro vivono per farlo capitare di nuovo nella
loro vita e a questo mondo. Restano 'incinte di Dio'".
Nel libro c'e' un'espressione che mi ha colpito: quello delle donne e' un
Dio che si puo' 'usare'. "'Usare Dio', 'essere usati da Dio', sono formule
che ho trovato in un testo, La passione secondo G. H., il capolavoro di
Clarice Lispector, brasiliana di origine ebreorussa, pubblicato nel 1964.
Queste sue formule hanno una singolare rispondenza con quello che, in quegli
stessi anni, insegnava lo psicanalista inglese Winnicott. 'Essere trovati ed
essere usati, e' il meglio che possa capitarci', diceva ai suoi colleghi.
Non e' questa una frase perfetta per la relazione tra Dio e la creatura
umana?".
L'incontro con Dio presuppone "la liberta' dall'ansia di indagare,
dimostrare, testimoniare l'esistenza di Dio". In che misura e' una liberta'
tipicamente femminile? Risponde Muraro: "Non c'e' niente di 'tipicamente
femminile', perche' donne e uomini siamo creature libere. E' vero che,
storicamente, l'ansia di affermare l'esistenza di Dio (o di negarla), si
registra fra gli uomini e non fra le donne. Nella societa' femminile, per
l'esperienza che ne ho, non ci sono separazioni di fede ne' problemi
interconfessionali. Quest'atteggiamento non e' dettato da indifferenza. Ha a
che fare con il 'dire Dio': da parte femminile, questo dire assume
volentieri le caratteristiche di un segreto e di un sottinteso, qualcosa
che, all'occorrenza, puo' essere taciuto, per lasciare la porta aperta alle
relazioni con le altre, gli altri, ben sapendo che, se Dio esiste, da quella
porta ci passa anche Lui (o Lei). Quello che m'interessava far risaltare,
era la possibilita' di un sapere che non fa questioni di vero/falso, non per
relativismo ma per lasciare che altro si faccia conoscere, cosi' che il vero
di cui abbiamo bisogno trovi le parole per dirsi secondo il contesto e le
relazioni".
Le scrittrici beghine testimoniano la felicita', il senso di pienezza che
prova chi incontra Dio. In che modo si pongono il problema del male? "Molte
di queste scrittrici conoscono il nome e l'insegnamento di sant'Agostino. Lo
seguono nella liberta' dell'amore, non nel suo pessimismo. La loro idea di
fondo e' che niente e nessuno, per finire, resistera' alla bonta' divina.
L'inglese Giuliana di Norwich ha elaborato una mirabile teologia della
maternita' di Dio a partire dall'intuizione che tutto e' bene, tutto finira'
bene. In questo mondo, lo sappiamo, esiste una fascinazione del male.
Giuliana insegna che Dio non la subisce, che il suo sguardo non si fissa sul
peccato, ma sulla sofferenza del peccato. Dio non mi chiede conto del male
che ho fatto, dice, e io non gli chiedero' conto del male che e' entrato in
questo mondo creato da Lui. Questo sguardo che non si fa affascinare dal
male, si ritrova, ai nostri giorni, nelle lettere e nel diario di Etty
Hillesum".
E quando il Dio che si e' cercato di incontrare si allontana, che cosa resta
da fare? "Gli studiosi di mistica parlano, per questa esperienza, di 'notte
oscura', sulla scia di san Giovanni della Croce. Io ho seguito un'altra
strada, che e' di ascoltare in ogni testo il racconto della storia personale
dell'autrice, e di non separarla dalle comuni storie d'amore. In generale,
ho cercato di togliere l'esperienza delle mistiche dalla eccezionalita' in
cui e' stata isolata, per creare invece un circolo ermeneutico tra quello
che esse raccontano e quello che accade a una donna qualsiasi. Citando
Margherita Porete, il fascino della scrittura mistica non e' nella dottrina,
ma nella ricerca delle parole per raccontare una vicenda che ha la
caratteristica di essere".
6. LIBRI. MARIA LUISA BOCCIA PRESENTA "A PIU' VOCI" DI ADRIANA CAVARERO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 giugno 2003. Maria Luisa Boccia e'
docente di storia della filosofia politica all'Universita' di Siena, e
vicepresidente del Centro studi per la riforma dello Stato; tra le opere di
Maria Luisa Boccia: L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi,
1990; (a cura di), La legge e il corpo, 1997; (con Grazia Zuffa), L'eclissi
della madre, 1998; La differenza politica, 2002. Adriana Cavarero e' docente
di filosofia politica all'UniversitĆ di Verona; dal sito "Feminist Theory
Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital
Discourse and Culture at Virginia Tech University
(www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo
questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume: a) libri:
Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e
il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La
teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984;
L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento
1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca:
Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of
Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure,
Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei,
Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997;
Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia
dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno
concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il
Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato
all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980,
pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a
Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp.
705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e
prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria
contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto
sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il
Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza
sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der
Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener
Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza
sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp.
173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian
Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991);
"Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica,
Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione
spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria
y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in
Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111;
"Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in
Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and
Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp.
187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita,
a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia
dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di
Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B.
Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della
corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp.
15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la
Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994,
pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in
Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp.
15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di
Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il
segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di
Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der
Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia
Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226;
"Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie
femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino
1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah
Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225]
La sfida del presente, riassunta nel termine globalizzazione, viene da piu'
parti valutata in termini di una forte, probabilmente irreversibile, crisi
della modernita', del suo orizzonte di senso, delle sue categorie; in primo
luogo dell'ordine politico, quale progetto, e del suo soggetto, l'individuo
autonomo e razionale. Altrettanto forte e diffusa e' pero' la tendenza a
rivolgersi proprio al nucleo essenziale della modernita' per misurarsi con
quella sfida, in particolare per contrastare e vincere le reazioni
regressive.
Indicativo di questa ambivalenza e' soprattutto il tentativo di coniugare
globalismo e universalismo, riproponendo su dimensione planetaria il legame
politico democratico che riconduce l'intera costruzione dello Stato, e il
senso e funzionamento della politica, allo "slegamento costitutivo", proprio
di una societa' atomizzata. Per individui eguali e liberi che non hanno
niente in comune, la razionalita' comunicativa, il linguaggio con le sue
norme procedurali, il suo sistema di segni e significati, viene a essere il
solo "legame degli slegati". Sebbene si postuli universale, la normativita'
linguistica si dimostra fragile alla prova dell'urto delle molteplici
istanze identitarie, delle attive mitizzazioni di appartenenze comunitarie
originarie, ovvero fondate altrimenti che sulla politica, anzi volte a
vanificare l'intera mappa della sovranita' e della rappresentanza.
Per rispondere alla sfida, dunque, e' necessario spingersi a "ripensare la
politica, a partire da un ripensamento radicale dell'ontologia e percio' del
rapporto paradigmatico fra parola e politica".
L'intento di radicalizzare la crisi della modernita', "senza eccezioni", per
pervenire a un diverso "nucleo generativo e simbolico della politica" viene
esplicitamente dichiarato da Adriana Cavarero, nelle pagine conclusive del
suo libro (A piu' voci. Filosofia dell'espressione vocale, Feltrinelli, pp.
269, euro 20). La tesi, indiscutibilmente forte e controcorrente rispetto
all'approccio post-moderno, prevalente nel pensiero contemporaneo,
filosofico e non solo, di stabilire un transito, tramite la parola,
dall'ontologia alla politica e', viceversa, enunciata in apertura. E' questo
infatti il percorso che Cavarero sceglie, dal quale fa dipendere l'intera
costruzione del testo. Non e' un aspetto marginale. Piuttosto conferma e
sostanzia titolo e sottitolo e soprattutto, la tematizzazione della voce, in
chiave di priorita', non discorsiva o contenutistica, ma per l'appunto di
radicale rovesciamento di prospettiva, rispetto sia alla tradizione
metafisica, che sostiene quasi interamente il "macrotesto" occidentale, sia
all'antimetafisica che costituisce la trama comune della messa a tema,
perfino ossessiva, nel Novecento, del linguaggio, e del suo potere
costruttivo del reale.
*
Sulla tradizione metafisica, sulla scena inaugurale della filosofia greca,
primo Platone, Cavarero lavora a lungo, con pazienza e sapienza, mentre sono
per lo piu' sottesi i riferimenti alle filosofie postmoderne.
Significativamente la trama del discorso novencentesco evidenzia altri fili,
altre scritture: i grandi narratori - Calvino, Borges Kafka, Blixen -, il
pensiero femminile/femminista - Arendt, Kristeva, Cixous -, i pensatori che
criticano la tradizione metafisica, avvalendosi, in vario modo, dell'altra
radice fondamentale dell'Occidente, quella ebraica - Arendt ancora,
Rosenzweig, Levinas. Fa eccezione l'appendice, "Dedicato a Derrida", dalla
cui metafisica della presenza, l'"ontologia vocalica dell'unicita'", che in
questo testo si enuncia e prende forma, diverge nettamente.
Perche' la voce, dunque, non come oggetto di studio, importante o preferito,
ma come ontologia? Perche' la voce e' stata ignorata, combattuta, temuta,
condannata alla insignificanza proprio nel linguaggio.
Dunque la storia della tradizione metafisica deve essere riletta come "la
strana storia della devocalizzazione del logos". Come con piu' felice
espressione recita la prima parte del libro, si tratta di ricostruire "come
il logos perse la voce". Quali furono i passaggi, le modalita', l'attitudine
filosofica che portarono a fondare la parola nel pensiero, nel "significato
mentale", separandola dai parlanti, riducendo la vocalita' a componente
fonica del linguaggio, a funzione e strumento? Il proprio della voce, al
contrario, "sta nell'unicita' relazionale di un'emissione fonica che (...)
porta a destinazione il fatto specifico umano della parola".
La questione cruciale, per Cavarero, e' questa destinazione; ma indagare la
parola dal lato della voce e' qualcosa di piu' e di diverso, di
un'inversione prospettica. Se per un verso ci permette, anzi ci obbliga, a
riconoscere che "c'e' parola, perche' ci sono dei parlanti", per altro
verso, piu' radicalmente, la vocalita' comunica un "chi", prima e piu' di un
"che cosa". Dunque la parola a cui e' destinata non e' piu' quella
codificata, imprigionata nell'ordine dei significati, ma e' una parola
innanzitutto relazionale.
*
Cavarero per evidenziare l'importanza di questo diverso approccio alla
parola, e dunque al problema stesso del comunicare e significare, ricorre,
in piu' punti del testo, e sempre in quelli teoricamente decisivi, al
termine risonanza.
Nella parola risuona l'unicita' del parlante: grazie alla materialita' del
fenomeno vocale, dell'emissione, e grazie alla materialita' del fenomeno
acustico, la risonanza che inerisce al suono, transita nella parola. Nella
parola la voce non e' puro suono, emissione di un significato che si genera
altrove - nella mente, nella coscienza, in un processo solitario e muto -,
ma rivela chi parla e dunque instaura la relazione, come prerequisito,
assieme all'unicita', del linguaggio.
Ma poiche' unicita' e relazionalita' sono requisiti che legano il linguaggio
alla contingenza, ai corpi innanzitutto, ma anche ai contesti, hanno
rappresentato un ostacolo del quale liberarsi. Si potrebbe dire con qualche
ragione, se ci soffermiamo a considerare tutte le conseguenze della
posizione opposta, quella di Ireneo Funes, personaggio di Borges, del quale
Cavarero propone una lettura fine e acuta, quale perfetto antimetafisico,
speculare a Platone. Per Funes infatti il linguaggio e' insensato, prima
ancora che passibile di falsificazione, proprio perche' riassume in uno
stesso nome la molteplicita' empirica, la realta' infinita delle cose, e
delle forme, mai simili a se stesse, tantomeno riconducibili a uno stesso
genere o classe.
*
La priorita' della voce, sulla quale Cavarero insiste, non ha come scopo la
voce stessa, la voce in generale; e solo in parte dipende dalla sua
corporeita'. Non e' problema di corpo invece che di linguaggio, ne' di
rilegare l'uno all'altro, o di giocare la potenza del primo - pulsioni,
istinti, inconscio - per sovvertire il secondo, per opporre godimento a
disciplinamento, come alcune e alcuni prefigurano. Per Cavarero la voce e'
cruciale per contrastare la metafisica, ovvero un ordine del linguaggio e
della significazione fondato sull'idea, sul regime visivo della
rappresentazione, sull'astrazione del concetto, che purifica il processo
stesso della significazione da ogni traccia, suono, ovvero pretende di fare
a meno dell'ingombro, imbarazzante, dell'unicita' dell'essere umano
incarnato.
Si puo' dire che l'ontologia vocalica presuppone l'unicita' e allo stesso
tempo la ancora nell'orizzonte del senso, non solo della materialita'. Se
viene privilegiata la voce e' proprio perche' consente di tenersi alla
finitezza (senza cui e' ingannevole qualsiasi dire attorno l'unicita') senza
dover sacrificare al suo statuto contingente la possibilita' stessa della
parola, direi la sua apertura alla continua ricerca di senso e
all'invenzione di significati.
*
Molto altro sarebbe necessario dire sulle prime due parti del libro, nelle
quali Cavarero riscrive la storia maggiore del logos che ha perso la voce, e
quella minore della voce, inevitabilmente femminile, anche se e' emessa da
un uomo o da un essere divino, che attrae seducendo, perche' sottrae la
parola all'esigenza di significare, secondo il regime visivo-concettuale del
pensiero.
Posso accennare solo a una, quella del rapporto tra voce e scrittura, tra
parola scritta e parola verbale. Si tratta, evidentemente, di questione
diversa, da quella del rapporto tra oralita' e scrittura, qualora fosse
pienamente ricollocata nella prospettiva dell'unicita', della quale la voce
dice a un tempo l'esserci e la sua disposizione relazionale, dunque la sua
costitutiva destinazione alla parola.
Un interrogativo e' se dobbiamo far discendere dall'originarieta' del
vocale, che la scrittura, come pratica e come testo, resta consegnata al
semantico inteso come ordine linguistico che strutturalmente tende a ridurre
l'unicita' a superfluo, a sostituirla con gli "enti fittizi" della
soggettivita': uomo, individuo, coscienza, io.
O, viceversa, la parola risuona del vocalico, anche nella scrittura? Detto
altrimenti, posso sfidare l'ordine dei significati, il potere del
linguaggio, posso fare e disfare i significati, nelle diverse pratiche della
parola, verbali e scritte?
Da questo punto di vista la sfida piu' ambiziosa, quella che investe il
"macrotesto" della tradizione, come puo' non tradursi in pratiche testuali,
che configurano un differente equilibrio - instabile e non definitivo, ma
pur sempre equilibrio - tra parola, unicita' e relazione generando una
diversa forma della significazione oltre che differenti testi?
*
Torno brevemente al rapporto tra ontologia e politica. Il "nucleo generativo
e simbolico della politica" che Cavarero trae dall'ontologia dell'unicita',
riprende e radicalizza la concezione di Hannah Arendt, di uno spazio (infra)
che unisce e separa la pluralita' dei singoli e delle singole, e che si
costituisce non come sfera determinata di bisogni e rapporti, ma
sull'interagire che motiva ciascuno e ciascuna, innanzitutto a comunicarsi,
a riconoscere e riconosceri quale pluralita' di voci: polifonia. Questo
spazio - qui l'attualizzazione proposta - e' oggi piu' possibile configuralo
come spazio non territoriale, non definito da confini, da patti e logiche
identitarie, ma come polis, senza geografia, "locale assoluto", lo chiama
Cavarero, generato e perpetuato dal comunicarsi tra parlanti, deprivato di
ogni sostanza comunitaria. Una via d'uscita, insomma, sia dall'universalismo
che dal comunitarismo.
Non da ora sono convinta dell'attualita' e perspicuita' della concezione
arendtiana della politica, per ripensarne forme, pratiche e significati nel
presente. Ma per Arendt, come ricorda Cavarero, ontologia e politica non
coincidono. Detto altrimenti, non c'e' rispondenza immediata tra l'esistenza
delle unicita' e l'agire politico, come condivisione di uno spazio, di un
inter-esse, con e tra altri ed altre. A unire e dividerci tutti e tutte,
dice Arendt, e' la preoccupazione per il mondo, ovvero per le condizioni
potremmo dire, fattuali, comunque durevoli, ma non immodificabili, nelle
quali si pongono, e con le quali si commisurano, le relazioni.
In questo senso, la questione del "che cosa", cioe' dei contenuti dell'agire
politico, della parola che, per Arendt, e' atto politico per eccellenza, e'
centrale, niente affatto secondaria. Questo unisce e divide i parlanti,
organizza le relazioni e le pratiche nello spazio comune, secondo linee non
coincidenti con quelle tracciate dalle regole democratiche, ma neppure lo
rende un luogo aperto, indistinto, della relazionalita'.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta(a)sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben(a)libero.it;
angelaebeppe(a)libero.it; mir(a)peacelink.it, sudest(a)iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info(a)peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac(a)tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac(a)tin.it
Numero 582 del 15 giugno 2003