Una paurosa spirale di morte e
distruzione sta avvolgendo l’intera umanità,
senza risparmiare alcun popolo: è la spirale “guerra-terrorismo”
così come è stata convenzionalmente definita.
Tuttavia, tale apparente dicotomia
non costituisce e non offre un’effettiva alternativa
tra due differenti opzioni, ma al contrario si tratta di due facce della stessa
medaglia. E’ un mostruoso parto gemellare generato dal medesimo sistema
che ha bisogno della violenza organizzata in varie forme, per rigenerarsi,
ricostituirsi e perpetuarsi all’infinito.
Nelle giornate di Luglio, a
quattro anni di distanza dal 2001, sono state rievocate le drammatiche giornate
di Genova, segnate dalle terribili violenze della repressione poliziesca, dall’assalto
alla scuola Diaz, dalle torture nel carcere di Bolzaneto,
dall’assassinio di Carlo Giuliani, eccetera. Certo, bisogna rammentare
anche le violenze dei black-bloc (e su tali vicende
bisognerebbe far luce, dato che ancora sussistono molte zone d’ombra,
tanti misteri e lati oscuri), violenze che sono anch’esse un parto
degenere di un sistema sempre più marcio, putrido e incancrenito, capace di
produrre in quantità industriale soprattutto “merci” come la
violenza, l’odio e la distruzione, nella misura in cui ne ha bisogno come l’aria che respiriamo, per poter
giustificare la sua esistenza.
Si pensi alla rivolta di massa che
in questi giorni è esplosa con furore nella banlieue parigina, espandendosi
rapidamente ad altre periferie urbane della Francia.
Per comprendere tali fenomeni
sociali così complessi, difficili e delicati, occorre rendersi conto di ciò che
sono effettivamente diventate le aree suburbane in Francia
(ma il discorso vale anche altrove), ossia assurdi ed ignobili luoghi di
ghettizzazione e di alienazione di massa.
Per capire bisognerebbe calarsi in
quella realtà quotidiana dove il disagio sociale, il degrado urbano e morale,
la violenza di classe, il vuoto esistenziale, la disperazione e
l’emarginazione dei giovani (soprattutto di origine
extracomunitaria) costituiscono il background materiale e ambientale che genera
e favorisce inevitabilmente manifestazioni di rabbia, di ribellione e di
guerriglia urbana.
Invece, tali vicende vengono bollate in modo banale e superficiale come atti di
“teppismo”, di “delinquenza” o addirittura di
“terrorismo”, secondo parametri razzisti e classisti tipici di quella
mentalità ipocrita e benpensante che da sempre appartiene alla borghesia, non
soltanto della Francia, ma anche dell’Europa e del mondo intero.
Insomma, tutte queste vicende sono
strettamente legate da un comune denominatore: la violenza. Su tale argomento
varrebbe la pena di spendere qualche parola per avviare un ragionamento
storico, critico e politico il più possibile serio e rigoroso. Io voglio
provarci, partendo ovviamente dal mio punto di vista e avvalendomi delle mie
capacità analitiche, delle mie conoscenze ed
esperienze.
La violenza, intesa come
comportamento individuale, ha senza dubbio un fondamento più profondo e
complesso, insito nella struttura sociale. Ad esempio, nella realtà delle
società capitaliste, la violenza del singolo, la ribellione giovanile
apparentemente priva di cause, l’alienazione, la follia, il vandalismo,
oppure il teppismo negli stadi di calcio (o ad una manifestazione), la
criminalità comune, la perversione di quei soggetti qualificati come
“mostri”, sono sempre il frutto (marcio) generato da una formazione
sociale che ha bisogno di produrre odio e violenza; sono la manifestazione di
un contesto storico-sociale che, per sua natura, crea
conflittualità, contribuendo alla depravazione dell’animo umano che in
tal modo viene ad essere intimamente condizionato dall’ambiente esterno.
Dunque la violenza non è una
questione di malvagità o perversione individuale, ma è un problema sociale, ovvero costituisce la facciata esteriore e fenomenica dietro
cui si camuffa la violenza organizzata della società, è lo strato superficiale sotto cui giace, si espande e si incancrenisce
la corruzione dell’ordine costituito.
In effetti è alquanto
difficile determinare e concepire la violenza come un comportamento naturale, etologico, immutabile, dell’essere umano, in quanto è
la natura stessa dell’ordinamento sociale, il vero principio che genera i
cosiddetti “mostri”, i criminali, i violenti in quanto singoli
individui, che sono spesso quei soggetti più labili e vulnerabili sotto il
profilo psichico ed emotivo.
La visione che attribuisce alla
“cattiveria umana” la causa dei mali e dei problemi del mondo, è
soltanto un’ingenua e volgare mistificazione.
Il tema della violenza è talmente
vasto, enorme, complesso, da rivestire un’importanza centrale nell’ambito
dello sviluppo storico dell’intera umanità.
Sin dalle sue origini l’uomo
ha dovuto immediatamente attrezzarsi per fronteggiare la violenza esercitata
dall’ambiente naturale nel quale era inserito: il pericolo di aggressione da parte delle belve feroci, le avversità
atmosferiche, le catastrofi e le sciagure naturali più terrificanti, quali
terremoti, bradisismi, vulcanismi, frane, incendi ecc., i suoi bisogni
fisiologici da soddisfare, ossia la fame, la sete, la necessità di procreare e
via discorrendo.
In seguito, con il trascorrere dei
secoli, l’uomo è riuscito a compiere un immane progresso tecnologico e
materiale che lo ha affrancato dal suo primitivo asservimento alla natura,
rovesciando, in un certo senso, il rapporto originario tra l’uomo e
l’ambiente.
Oggi, infatti, è soprattutto
l’uomo che arreca violenza alla natura, ma la relazione rischia di
invertirsi nuovamente… a scapito dell’uomo.
Durante la sua lunga evoluzione
culturale e materiale, l’umanità ha creato e
conosciuto svariate esperienze di violenza: la guerra, la tirannia,
l’ingiustizia sociale, lo sfruttamento, la fatica quotidiana per la
sopravvivenza, il carcere, la repressione, la rivoluzione, fino alle forme più
rozze ed elementari come il teppismo, la prepotenza, la sopraffazione del
singolo su un altro singolo. Tuttavia, tali fenomeni così disparati, pur nella
loro molteplicità e nelle loro apparenti
contraddizioni, si possono ricondurre ad un’unica matrice
storico-causale, vale a dire la natura intrinsecamente violenta, ingiusta e
disumana della struttura sociale e materiale su cui si erge
l’organizzazione della vita e dei rapporti umani nel loro incessante
divenire storico.
Il problema fondamentale della
violenza nella storia umana (che è scisso dal tema della violenza nel mondo
preistorico) è costituito dall’ingiustizia e dalla violenza insite nel
cuore delle società classiste, le quali si basano sulla divisione sociale dei
ruoli lavorativi e sullo sfruttamento materiale di una classe sul resto della
società.
Solo quando lo sviluppo delle
capacità economico-produttive e tecnologiche della società, avrà raggiunto un
livello tale da permettere il superamento e l’eliminazione della ragion
d’essere che finora ha giustificato e determinato lo sfruttamento del
lavoro servile e del lavoro salariato, l’umanità potrà compiere il grande balzo rivoluzionario che consisterà in un processo di
liberazione dalla violenza dell’ingiustizia e dello sfruttamento di
classe.
Ebbene, è un dato di fatto che
tali condizioni, connesse al progresso
tecnico-scientifico ed alla produzione delle ricchezze sociali, siano già presenti
nella realtà oggettiva, ma sono mistificate e negate dal persistere di un
quadro (ormai obsoleto) di rapporti di
supremazia e sottomissione tra le classi sociali.
In tal senso, il potere borghese
non è mutato, i suoi rapporti all’interno e all’esterno sono sempre
improntati alla violenza. Esso continua a reggersi sulla violenza, in modo
particolare sulla forza bruta (legalizzata) di strutture e di
istituzioni repressive quali, ad esempio, il carcere, la polizia,
l’esercito.
Nel contempo, il
potere borghese ha imparato ad impiegare altre forme di controllo sociale, più
morbide e sofisticate, addirittura più efficaci, come la televisione e i
mass-media.
Oggi, infatti, molti Stati
borghesi, soprattutto quelli più avanzati sul versante tecnologico, vengono gestiti e controllati non solo e non tanto
attraverso i sistemi tradizionali della violenza legalizzata, cioè esercito e
polizia, quanto soprattutto ricorrendo alla forza persuasiva ed alienante della
televisione e dei mezzi di comunicazione di massa.
Naturalmente, il discorso sulla
violenza non è per nulla concluso, né può esaurirsi in una breve riflessione come
questa, giacché si tratta di un tema talmente ampio, controverso e difficile,
da meritare molto più spazio, molto più tempo, molto più
studio e molto più ingegno di quanto possa fare il sottoscritto.
Per quanto mi riguarda, ho cercato
semplicemente di lanciare un input.
Lucio Garofalo